sabato 14 febbraio 2009

SENEGAL 1 - Toubab e talibè


Lunedì è il Magal, cioè la festa principale della più potente confraternita religiosa in Senegal: i Murid; e a Dakar sembra siamo rimasti solo toubab e talibè, ovverosia bianchi e bimbi di strada. E’ venerdì ma le strade sono vuote, e Dakar è tranquilla come fosse domenica: sembra davvero irreale, normalmente il traffico e la confusione sono incredibili.


Eva, la donna che ci cura la casa e segue i bambini, oggi ci ha messo più di due ore ad arrivare da noi, pur abitando lei stessa a Dakar Parcelles, un quartiere popolare: tutti i pulmini, i fatiscenti e coloratissimi car rapide, si sono diretti fuori città, verso Tuba, la città santa dell’islam sufi dei Murid; a Tuba (città arida e sabbiosa del deserto) oramai ci sono più di un milione di persone – a Dakar è rimasto il sole, il vento, e i miei mille pensieri.


Quasi dieci giorni, e dieci volumi di pensieri confusi, riassumibili in uno: ci sarà pure un senso.


Sul marciapiede di fronte a casa oggi si è raggruppato un folto gruppo di talibè. I bambini di strada di Dakar: sono diversi, meno aggressivi di quelli di Nairobi. Non sono cani sciolti: sono tutti “affidati” dalle famiglie povere ai marabù (l’equivalente dei nostri preti; suona male?) che sostanzialmente ne sfruttano la condizione di miseria ed abbandono. Si spargono per il centro di Dakar, e si muovono con al collo una latta per chiedere l’elemosina. Devono tornare a sera dal marabù con almeno 5OO franchi CEFA, circa 75 centesimi di euro, non è facile metterli assieme, se no lui li caccia via; e non avere la protezione di un marabù rende impossibile sopravvivere.

Alcuni marabù hanno anche cento bimbi. In teoria il religioso dovrebbe svolgere una funzione di paracadute sociale per le famiglie in difficoltà; in pratica il fenomeno dei bimbi di strada anche in questa capitale africana è fuori controllo. I marabù ci guadagnano, e violenza e sfruttamento sono all’ordine del giorno. Eva, cristiana della Casamance –la regione sud del Senegal – dice che i talibè ci sono per colpa dei musulmani, che non lavorano e sono cialtroni. Non le dico nulla di Nairobi dove di musulmani ce ne sono pochi e di Chakorà (bimbi di strada) molti di più e messi molto peggio.


Oggi però anche per i talibè è un giorno speciale: per il Magal tutti i marabù sono partiti verso Tuba, e quindi loro sono liberi si scegliersi un buon marciapiede ventilato al sole, senza andare in centro città, e godersi la giornata. Tanto stasera i 5oo franchi non si devono portare, non c’e’ nessuno che aspetta: evviva le feste comandate!

Qui il sole che splende e l’aria dell’oceano fanno sorridere per forza, un po’ tutti. E’ l’aspetto dell’africa che ti colpisce sempre, al di la delle situazioni peggiori – che purtroppo dilagano e fanno parte di un quotidiano dolce e crudele allo stesso tempo.


Il gruppo rumoroso di ragazzini ha di fatto spodestato il mio punto interrogativo personale, ovvero il ragazzo che direi vive seduto esattamente davanti al mio cancellino, su un tappeto da preghiera, pulito e molto dignitoso, e che passa la sua giornata cantando litanie con un bel libro scritto in arabo aperto sul marciapiede e una teiera verde. Non chiede la carità, non ha l’aria del barbone, è gentilissimo, e oramai saluta e chiacchiera con Elia e Francesco. Io non so che faccia fare, gli sorrido tutte le volte che lo scavalco con le borse della spesa, e mi imbarazza non poco. Oggi ho chiesto ad Eva: e mi ha spiegato che è il custode della casa di fronte. Finalmente si è sciolto il mistero: è pulito e in ordine perché ha un lavoro, e il suo lavoro si può svolgere benissimo seduto sul marciapiede della mia casa. Ogni tanto sul tappeto sono in due che prendono il te, e a me piace, mi da l’idea di famiglia, in un quartiere che invece è molto diverso dai quartieri popolari di Dakar, sicuramente caldi e pittoreschi, ma invivibili con due piccoli toubab.


L’altra immagine irreale di oggi sono le bandiere rosse che sventolano per tutti i 2O chilometri della Corniche, la strada costiera che unisce l’aeroporto al centro, e lungo la quale si dispiega tutta Dakar. Oggi arriva in Senegal il presidente Cinese, e questo è un omaggio per lui: centinaia di bandiere con la stella rossa, che sventolano attaccate alle palme e sul blu dell’oceano bellissimo. Qui la Cina si compra tutto: non è una battaglia geopoliticamente strategica quella sull’africa, ma lo è dal punto di vista economico. E se la Cina compra, l’Africa vende.


Veramente la classe politica africana svende tutto; dopo essersi assicurata la disponibilità delle ricchezze migliori spesso le regala alle proprie elite, e alle potenze straniere che se le contendono: finanziando quando va bene il lusso di pochi, quando va male guerre civili e dittatori.

In Senegal va bene, ho letto che il governo Senegalese ha regalato terre demaniali costiere di Dakar a potenti senegalesi e arabi (kuwaitiani prevalentemente) per l’equivalente del PIL annuale del paese. E oggi arriva la Cina: stamattina metà delle bandiere erano già state rubate, souvenir o amuleti, chissà…


La Corniche è una strada splendida, penso fosse essenziale per Dakar: ma è vietata agli africani. Vi possono transitare solo le macchine private o i taxi, non gli “Alhamdulillah” piccoli camioncini aperti e scassatissimi che straripano costantemente di gente: quindi il 99% dei Senegalesi viene multato se la usa.

Alhamdulillah significa “Dio è Grande”, è scritto in grande su tutti i cofani di questi mezzi coloratissimi: ma non abbastanza per poter usare la Corniche.

Quando posso li prendo anche io, ovverosia quando non ho i bimbi, perche volano nel traffico senza controllo, e mi fanno paura. Si fermano ogni pochi metri per far salire e scendere la gente; quando salgono i santoni-mendicanti la gente fa la colletta e paga per loro. L’altro ieri cercavo la passata di pomodoro (ebbene si, anche questi sono problemi), e ne ho trovato una bottiglia in un mercatino. Ho rischiato la pelle quando scendendo dall’Alhamdulillah mi sono sbilanciata e ho inavvertitamente sbattuto la bottiglia sul portellone dietro, quello che sta sempre spalancato con appesa tutta la gente. Un botto sul portellone infatti è il segnale che danno i “bigliettai” per far ripartire il mezzo, e dovevate vedere la faccia mia terrorizzata, appesa al volo fuori dal portellone, mentre i legittimi bigliettai allibiti restavano a piedi e cominciavano a correre dietro al loro autobus rubato da una toubab impazzita. Hanno riso tutti, e anche io quando si è fermato e mi ha lasciato scendere!


Come ho già scritto a qualcuno, i bimbi stanno bene; Elia valuta le differenze col suo mondo. Spia sempre Eva quando si toglie i capelli e li stende in giardino (tutte le africane hanno parrucche di fogge diverse che cambiano spesso); Francesco spinge imperterrito il suo tagliaerba giocattolo tra donne che arrostiscono arachidi e miglio sedute sui marciapiedi, mucchi di spazzatura e negozietti colorati, nei quali entra e chiede speranzoso “Pas bombon?”


Io avrei mille pensieri; godo della bellezza di questi posti, ma la nostra condizione stride paurosamente con la povertà che vedo tutto intorno. E questo mix di miseria e colore produce immagini che ti colpiscono a distanza di pochi istanti una dall’altra e ti lasciano ko, come in una costante doccia scozzese.


Ieri ero in centro, per pranzare con Aldo che lavora al Plateau, appunto il centro caotico, vecchio e consumato dal caldo e dalla salsedine, ma invaso dal traffico furioso della città. Due immagini mi hanno steso al tappeto, un destro-sinistro senza tempo in mezzo: una ragazza, forse sedicenne, un mucchio di stracci su un cartone sul bordo di un incrocio irrespirabile, caotico di gente, mezzi, e animali, che dormiva con accanto un bimbo forse di due mesi, anche lui assopito, o morto come il mio cuore.

E di fianco un venditore di sogni. Un vecchio con tunica blu e turbante giallo con una gabbia sotto braccio piena di uccellini anch’essi gialli: con una monetina puoi infilare il braccio nella gabbietta, prenderne uno, esprimere un desiderio e vederlo volare via.

Se si posa su di un mango, allora è vera fortuna.






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