martedì 2 ottobre 2001

Kenya 11 - Argilla e mattoni


Carissimi,

Dopo una lettera piena di problemi esistenziali pero’ bisogna tirarsi su il morale; e qui si viene per questo! Tante cose che sto facendo ancora non te le ho raccontate. Alcune cominciano a dare frutti e un sacco di soddisfazioni. In particolar modo il CLAY WORKS UMBRELLA GROUP. Qui le donne si riuniscono in gruppi per sopravvivere e intraprendono le piu’ diverse attivita’.

Organizzando un training che ci hanno richiesto su lavori in argilla e produzione mattoni abbiamo incontrato questi gruppi che vogliono specializzarsi in questo campo. Produrre mattoni, per I quali c’e’ un altissima richiesta; fare quelli che chiamano maendeleo jickos, e cioe’ I piccoli fornellini a carbone o legna che permettono di risparmiare combustibile; fare tegole e vasellame. Tieni conto che parliamo di un contesto di capanne disperse nel fango tra I campi.

Da dicembre sto lavorando con loro. Si chiama Umbrella Group perche’ riunisce 13 gruppi. Abbiamo avuto due training sulla produzione dei mattoni e uno sui jickos. In questi mesi abbiamo avuto un sacco di incontri assieme, e stiamo cercando di iniziare un embrione di cooperativa di produzione. Il livello e’

rurale, ma qui tutto e’ cosi’. Abbiamo gia’ una sede, offerta dalla Mosop School (la scuola che ospita gli orfani che sosteniamo), un piccolo invaso d’acqua che serve per impastare l’argilla, stiamo mettendo su una tettoia per riparare

I mattoni (quando piove - e piove!- si rischia di perderne un sacco), e abbiamo aperto un conto in una

banca di villaggio locale. Ogni gruppo (formato dalle 15 alle 30 donne) ha raccolto 500 Ksh (15.000 lire), e I soldi raccolti ci servono per iniziare. Come vedete I costi sono molto bassi. La nostra ONG sponsorizza I training: normalmente facciamo una riunione con il comitato (formato da tre rappresentanti di ogni gruppo), si discute, si stabiliscono le priorita’, e si prova a programmare. E le cose da tenere in conto quando si tratta di donne sono molte: se e’ la stagione del raccolto non hanno tempo perche’ devono lavorare nei campi, bisogna vedere se hanno qualcuno cui lasciare I bambini, ci vogliono I permessi dei mariti.

Ma queste sono tutte donne coi controcoglioni (come diceva il prete che mi ha portato in africa la prima

volta, nel 95, anche se lui si riferiva nello specifico alle suore…un vecchio prete un po’ sui generis…): donne abituate a lavorare come muli, che hanno cominciato a fare mattoni spiando gli uomini, e poi mettendocisi loro. Si sono organizzate di modo che tutti I giorni ci siano a rotazione almeno 4 o 5 donne che fanno mattoni, e in questo modo, a costo zero, stanno costruendosi le case a rotazione. Tutti si lavora prima per una, poi per l’altra, e cosi’ via.

Il gruppo funziona: oggi ho addirittura saputo che ieri era l’ultimo giorno di training di 4 giorni che si sono organizzate da sole sui jickos. Ne avevamo discusso assieme, ma non avevamo ancora definito nulla. E loro hanno fatto tutto da sole…non pensare che io sia razzista o sfiduciata nelle capacita’ degli

africani, ma dopo piu’ di un anno di permanenza qui so quanto assurdamente ciclopica sia l’impresa di organizzare un training, comunicarlo alle persone, averle effettivamente al training. Facilitator sono state due donne membre del gruppo, loro stesse gia’ formate da noi a dicembre. Si sono autoconvocate, e per 4 giorni una quarantina di donne sono andate avanti e indietro dalla Mosop per partecipare a questa cosa: un successo clamoroso, che ti mette le ali.

Ti nasce una speranza nel cuore, su cui e’ seduto l’elefantone della speranze di tutte queste donne.

All’inizio pensavo: devo riuscire in questa cosa per loro, devo riuscire a reggerlo per loro; perche’ la prima sensazione che hai quando ti trovi in questesituazioni, e che ti viene dagli occhi delle donne sedute con te, e’ che loro hanno su di te tante di quelle aspettative che non puoi lasciarle a terra.

Vedono una possibilita’. Poi pero’ capisci che sono loro che ti portano sulle spalle, la loro speranza fa splendere alta la tua: che regalo! Che vista da quassu’!

Bet, il pastore della chiesa locale, dice che Dio ci ha portato qui con uno scopo: e lo scopo del suo Dio era il regalo di farmi vedere questo panorama splendido! Da quassu’, dove mi hanno innalzato gli occhi, I desideri, le speranze di queste donne.

Insomma, l’Ombrella Group comincia a camminare bene, io sono solo una risorsa collaterale. La mia unica paura e’ che la condizione economica generale del paese pesi sul reale successo della cosa. Ancora non siamo in fase di produzione e marketing, ma lunedi’ vado a parlare con il responsabile di una NGO Inglese, Habitat for Humanity, che costruisce case nell’intento di migliorare le condizioni di base di questa gente. Hanno appena aperto un ufficio a Bomet (sepolti nel fango anche loro), e ovviamente la prima cosa che gli serve sono… I mattoni!

Nel giro di un paio di settimane avremo un seminario di una settimana, che si chiama “Doing a feasibility study”: si tratta di organizzare la nostra idea di business analizzandone tutti gli aspetti e cominciando la programmazione. Domanda del mercato, eventuali concorrenti, come operare materialmente il business, costi di produzione, risorse necessarie, training richiesti, ecc…

Quanto ci vorra’ perche’ tutto parta? Giugno 2002 e’ sin troppo vicino. Che fare?

Il Clay Works Umnbrella Group e’ l’unico cosi’ strutturato. Stiamo cercando di farne partire uno anche sulla produzione di miele, ma su questo saremo molto piu’ defilati…gia’ la responsabilita’ di averne spinto uno a partire mi sembra troppa…se poi va male?

Con gli altri gruppi ci limitiamo a fornire I training richiesti (in genere in campo agricolo), e dare il credito se richiesto. Abbiamo fatto training a una 50ina di gruppi, e dato crediti per adesso solo a una decina…cominciando ad esborsarli solo da giugno. I soldi del progetto non sono mai abbastanza (l/4 se ne resta in italia), e spesso per le donne ripagare un credito puo’ essere un problema.

Ma cominciamo a vedere cose nascere: I pollai (dovreste vedere l’incubatrice: e’ una capanna rotonda in miniatura, alta come una persona, bellissima, con porticina, al centro un jiko che fa caldo e 30 o 40

pulcini che ci stanno, zampettando di qua e di la), chioschetti, negozietti, compravendite di piretro o benzina (la vendono solo a Bomet, e un gruppo ha avuto l’idea di organizzarsi noleggiando la macchina del maestro del villaggio e portandosi nel villaggio appunto due bidoni di benzina da vendere- il prestito e’ servito a comprare la benzina).

Ecco, questa e’ una “picture”, un istantanea mossa e sfuocata di un aspetto del lavoro; ce ne sono altri, e sono cose che ci assorbono molto perche’ ci piacciono. C’e’ chi dice che chi lavora nel sociale lo fa perche’ ha bisogno di sentirsi migliore di quello che e’ in realta’; tanto piu’ se viene nel terzo mondo.

Sicuramente mi sento piu’ coinvolta che se vendessi tappi di bottiglie all’ingrosso, e poi ho bisogno di

cose vive e serene.

E poi mi si e’ aperta piu’ la mente lavorando con gli zingari e quaggiu’ che qualunque altra cosa: ossigeno, aria che ti circola dentro, se no ci credi alla CNN e sei contento se ti compri il forno da 4 milioni che sembra il cruscotto di una macchina, e ti senti forte e giusto come davide prima di scagliare il sasso contro il resto del mondo barbaro, cattivo o da compatire. Le domande che ti nascono e le cose che vivi ti smantellano piu’ certezze che altro: e questo e’ un bene.

I compromessi sono molti, ma do cento, e mi sono scomparsi tutti gli acciacchi pricosomatici di cui soffrivo in italia. Certo mi sento isolata: avrei voluto partecipare al G8, vorrei oggi piu’ che mai entrare in un movimento antoglobalizzazione in cui canalizzare la mia voglia di fare sentire la voce:

come si fa a credere alla politica? La politica non esiste, non l’ho vissuta quando era viva e aveva un

senso. Oggi vedo Blair e non lo distinguo da Bush. Tutto il resto e’ orrore e interessi.

Insomma, mi manca realizzarmi in un idea politica comune. Ma questo potro’ farlo al ritorno. Qui scavo piu’ me stessa. Capisco I miei desideri e le mie inclinazioni.

Intanto tra luglio e settembre sono venuti a trovarci ben 18 fuoriusciti: amici e conoscenti dall’italia, che hanno vissuto qualche settimana le bellezze e le difficolta’ che ti puo’ regalare venire in africa.

Tutti sono rimasti molto coinvolti dalle esperienze che abbiamo potuto offrire, prima fra tutte lo stare

in capanna presso le famiglie che vivono attorno alla scuola orfanatrofio della Mosop School. Quasi tutti hanno passato da una notte fino a 10 giorni in capanna, senza luce, con famiglie molto semplici che hanno aperto ai nostri amici le porte dell’africa rurale: l’acqua da attingere allo stagno, la cucina rotonda con il tetto di paglia aguzzo, la cena tutti assieme al lume della lampada a petrolio, lo splendido

albero fiamma che fiorisce esplodendo di rosso intenso, le notti stellate africane, la lontananza da tutto, la chioccia coi pulcini, il rumore del silenzio e dei propri pensieri, I passi sul sentiero della donna col bimbo sulla schiena e la brocca sulla testa.

Assieme poi abbiamo fatto diverse spedizioni nei parchi…e siamo pure riusciti a vedere il leone

trombare…. Daiie ai guardoni!!!!

Insomma, spero che questo vi punzecchi…

Ciao

Elena