giovedì 20 settembre 2001

Kenya 10: Count down


Carissimi,

E’ tanto che non scrivo. Un po’ a scrivere letteroni mi sento piu’ una giornalista che una persona.
Raggiungono molti amici ma perdo in rapporti umani. Poi di giornalisti veramente bravi ancora qualcuno ce n’e’, e per sostituire molto piu’ che degnamente I miei letteroni ti do questa indicazione: Pietro Veronese “Africa. Reportages”, Laterza, che nonostante la frase del retro di copertina e’ un gran bel collages di articoli sull’Africa. Veronese scrive su repubblica, ed e’ uno dei pochi giornalisti veramente seri su questi temi.

Qui come va? Mah, la depressione di tutto quanto sta succedendo colpisce anche quaggiu’. Vedere Bush che recita salmi in televisione e che afferma che il bene trionfera’ sul male come puo’ lasciare?
Sai cosa dicono qui I Kenyani? La gente comune e’ inorridita per quello che e’ successo, ma contemporaneamente dice che adesso finalmente gli americani capiranno cosa vuole dire avere dei morti. Qui tre anni fa e’ saltata l’ambasciata USA e ci sono state centinaia di morti civili…pare che gli Usa abbiano stabilito indennizzi ridicoli che chissa’ quando mai arriveranno. Comunque il Kenya non e’ nell’occhio del ciclone per quanto riguarda gli equilibri politici mondiali. Qui sono ladri di capre in confronto a quello che sappiamo mettere in piedi noi…
Vorrei esprimere molti pensieri e sensazioni, che non riesco a mettere su carta. Ci si chiede di schierarci e te lo chiede la televisione, facendoti l’occhiolino sulla risposta giusta: e’ come un quiz a premi.
L’occidente si sveglia cristiano perche’ ce lo dice la CNN. Quella di essere buoni invece e’ una convinzione granitica che abbiamo, hanno, da secoli. Vedo qui quanto bene ha prodotto.
La guerra non e’ questa, la guerra c’e’ da decenni altrove, in moltissimi altrove, e la sensazione e’ che ci stiamo avvitando in maniera insensata e che ne rimarremo strangolati da soli. Non so quando; per adesso prosegue come sempre: l’uomo ricco non puo’ che essere egoista e il povero sara’ sempre perdente. E’ una legge di natura che nel paese dove sono vedo applicata, anche se nessuno se ne accorge e non vuole capire da dove viene tutto questo casino.

Mah. Che la depressione mi venga anche dal fatto che oramai qui abbiamo iniziato il nostro conto alla rovescia personale? I due anni di permanenza prevista infatti scadono a giugno 2001. Lontano ma vicinissimo, soprattutto per noi occidentali bianchi in eta’ produttiva che dobbiamo assolutamente programmare le nostre vite. Che fare? Non ci sarebbe alcun problema a rinnovare per un altro anno, tanto piu’ che l’ONG ci vuole, e ho finito di scrivere un progetto per l’Unione Europea che potrebbe essere un altra sfida coinvolgente, in campo agricolo e di sicurezza alimentare. Ma starsene tre anni fuori dall’Italia per chi non vuole fare l’emigrante per tutta la vita puo’ essere un rischio molto alto. Dobbiamo anche pensare al rientro: che fare? Dove vivere (io e Aldo infatti non abbiamo una base comune)? Cercare lavoro non e’ una cosa da sottovalutare, rientrare nel giro richiedera’ mesi. Fortunatamente tendo a considerare meno angosciante una situazione di incertezza come la presente rispetto a quella di sentirsi su una strada gia’ decisa e definita in partenza. Per fortuna che io e Aldo in questo siamo uguali. Se no mica saremmo finiti quaggiu’!
Forse il problema vero e’ che il sogno piu’ bello lo stiamo vivendo adesso, e non riusciamo a vedere qualche cosa di altrettanto coinvolgente da sognare. Il problema e’ avere chiaro il proprio desiderio; poi le energie si convogliano facilmente.

Vi lascio con milioni di cose che non stanno in questa lettera, e un passo di una lettera che ci ha scritto
un amico di Firenze, 21 anni, che e’ stato qui ad agosto:

“Scrivo innanzitutto per ringraziare tutti coloro che hanno voluto contribuire economicamente alla crescita di questo magnifico progetto (la Mosop School) che abbiamo avuto la fortuna di toccare con mano; infatti anche grazie al vostro contributo io e i miei tre amici abbiamo portato la cifra di sette milioni, con la quale si potrà concludere la costruzione di un tank per l’acqua e la realizzazione di una cucina nuova, e vi assicuro, io che la cucina l’ho vista, che ce n’era proprio bisogno! Vorrei cercare di esprimere anche un po’ delle emozioni che ho provato nel fare quest’esperienza, e che continuo a provare anche adesso, ma non so se ne sarei capace, non vorrei perdermi in banalità e luoghi comuni, ho sempre creduto che ci siano cose tanto belle che non sarebbe giusto ingabbiarle circondandole di parole, forse non ne abbiamo neanche il diritto…
Ciò che riesco a dire è che ho vissuto un’esperienza molto forte, da tutti i punti di vista, ho scoperto che ciò che credevo di conoscere del mondo era solo una piccola parte di ciò che esiste, ci sono tante realtà diverse delle quali sentiamo parlare e magari crediamo anche di farci un’idea, ma che bisogna per forza vedere e toccare con mano, per iniziare a capirle veramente…
Una delle cose che più mi sono rimaste impresse è l’idea delle potenzialità che ci sono in Africa, c’è tanta forza, tanta dignità, e su questo noi occidentali abbiamo solo da imparare; anche per questo consiglio a chiunque di toccare con mano questa realtà, l’Africa se provi a capirla t’entra dentro e ti migliora…
L’Africa non è solo Aids, malaria, fame, miseria, l’Africa è una forza impetuosa, e gli occhi “pietosi” pieni d’arroganza con cui noi dal nostro occidente ‘civile’ guardiamo al terzo mondo sono una delle tante dimostrazioni dell’ignoranza della quale tendiamo a circondarci, per voler vedere le cose sempre nel nostro modo, perché è un modo che ci dà sicurezza, è una delle tante forme con cui rinunciamo a metterci in discussione, noi e il nostro stile di vita, e allora continuiamo a parlare nelle nostre calde e confortevoli case di ciò che possiamo fare per aiutarli, e andiamo in Africa e torniamo con occhi più profondi di prima, occhi di chi ha visto il fondo del mondo e avrà mezz’ora d’attenzione in più nelle solite conversazioni nelle nostre calde e confortevoli case….
Sto cercando soltanto di dire che dobbiamo capire che si deve riconquistare l’umiltà di chiedere a loro d’insegnarci qualcosa, perché laggiù ho capito che anche noi abbiamo tanto da imparare, e che la nostra
presunta civiltà non è quella ideale a cui civiltà più arretrate devono tendere…
Cosa rimane dentro di me vedendo tutte quelle potenzialità che non hanno la possibilità di esprimersi? Cosa mi rimane dentro parlando con ragazzi Africani della mia età che hanno il futuro già scritto, mentre io mi lamento di non saper scegliere tra le mille possibilità che ho di fronte a me? Pietà? No, rabbia, solo e soltanto rabbia, perché questo mondo è sbagliato e sembra che nessuno ne voglia parlare, perché viviamo dietro a un velo di Maya costruito per noi su misura perché possiamo finalmente smettere di farci domande e cercare risposte, rabbia perché ci compiacciamo di vivere nelle nostre gabbie, davanti ad una televisione che t’insegna come essere libero, e intanto la chiave della tua gabbia l’hai gettata chissà dove, schiavo di un’informazione fatta di slogan e di menzogne, vuota come le parole di una politica nella quale continuiamo ingenuamente a credere; e se te ne rendi conto e vai in piazza scopri la natura della tua beneamata ‘democrazia’, la tua richiesta di giustizia te la fa pagare con il sangue, e torni a casa ferito nel corpo e nello spirito e senti al telegiornale che i delinquenti sono quelli come te, che tu sei violento perché frequenti un centro sociale, mentre chiedi solo giustizia, neanche giustizia per te, ma giustizia per le persone piene di potenzialità ma impossibilitate a coltivarle perché i grandi della terra hanno deciso così, perché le multinazionali devono badare ai loro profitti, perché le case farmaceutiche barattano vite umane per il proprio guadagno: tutto questo ha qualcosa a che vedere con la giustizia?
E intanto ci prepariamo ad un’altra guerra, una guerra di ‘civiltà’, una guerra di ‘cultura’, ma i buoni vinceranno, come dice Bush, verrà ristabilita la pace nel mondo, e continueranno a morire persone sul campo di battaglia di una guerra di cui nessuno vuole parlare, e che per noi occidentali non è mai esistita….beh, andate a vedere in Africa, in Asia, in America (l’altra America…), se esiste o se sono soltanto deliri.
Questo è ciò che mi rimane, ed è tanta la voglia d’esprimere alle persone tutte queste agitazioni che mi sento dentro, perché il velo di Maya si può strappare, basta parlare tra di noi, con le persone che ci stanno vicino, ricominciare a porci domande, mettere l’ombra del dubbio nelle verità che vogliono infilarci nella mente, per cercare di ritrovare quella benedetta chiave….
Finisco questa testimonianza con le parole di Padre Alex Zanotelli, che ho avuto la fortuna di conoscere a Korogocho, baraccopoli di Nairobi: “l’importante è sapere di essere nel posto giusto…”
Questo serve per trovare la forza che ci manca…
Grazie a nome di tutta la Mosop Mission School,
Francesco”

Carissimi, a me questa lettera e’ piaciuta moltissimo. Francesco ha 21 anni, studia medicina, e’
silenzioso, e mette speranza.

Vorrei concludere questa lettera gia’ fin troppo lunga con un ultima cosa: noi siamo qui fino a giugno 2002.
Non credo che potreste avere un occasione migliore per vedere l’Africa. Un pezzo di Africa, quello che
viviamo qui. L’africa si riesce a vedere un po’ solo se si conosce qualcuno che ci vive. Se ci vieni come
turista finisci nel giro scintillante dei parchi, dei leoni che trombano e dei lodge con piscina nelle terre aride dei masai. Se riusciste a prendervi almeno una decina di giorni, sono sicura che potreste vivere un esperienza indimenticabile.
Se riusciste a venire qui potreste venire a Bomet, vedere questa zona, venire con noi nei giri che facciamo per gruppi e nei villaggi, vedere come si sono organizzati in piccole banche di villaggio, conoscere Mr. Bet e la scuola orfanatrofio che sosteniamo; ovviamente andremmo a vedere I leoni che trombano (non puo’ essere il motivo per venire in africa, ma venire senza vedere un parco non ha senso), e entrare in uno slum di Nairobi, sentire che cosa e’ questa realta’ di urbanizzazione subumana, di cimitero delle speranze che sta spopolando l’africa.
Fatevi questo regalo. La nostra casa adesso e’ piu’ grande, c’e’ la camera degli ospiti, la doccia, ho l’orto e un sacco di piante, una gatta, I bimbi delle casette intorno stanno sempre nel nostro prato e abbiamo appena finito una verandina dove si legge che e’ un piacere. A noi farebbe moltissimo piacere: regalare un viaggio in Africa a qualcuno e’ qualcosa che lascia un segno. A me e’ stato regalato nel 95…e guardate un po’ come sono andata a finire.
Poi, altroche’ eta’ pensionabile..qui vi si apre il futuro!

Spero di sentirvi presto,

Elena