mercoledì 20 agosto 2008

FERRARA - Educazione civica


1. Siamo nel mio ufficio al grattacielo (due torri, venti piani, novanta metri d’altezza, duecentodieci appartamenti; ventitrè negozi –chiusi - alla base, trentadue nazionalità diverse e un grande giardino verde attorno. Totale, per Ferrara: il Bronx). E’ la sonnecchiosa settimana di Ferragosto, sonnecchiosa anche in barba a Brunetta. Noi siamo in ufficio e stiamo sistemando dati, rendicontazioni, relazioni, tutto quello che durante l’anno rimane indietro. Tutto è tranquillo, soleggiato, silenzioso.

A un certo punto il trambusto: Shuhui (si pronuncia: Suè), una ragazzina cinese di 11 anni, urla, con la mamma dietro che urla anche lei. Noi conosciamo bene Shuhui, perché ha partecipato con entusiasmo alle tre settimane di pomeriggi di giochi organizzati nei giardini: le attività iniziavano alle 17, lei dalle 14 era pronta e aspettava in ufficio. “Ci vuole ancora un po’ Shuhui” “Bene! Si!” annuiva lei contenta di star seduta anche tre ore per aspettare.

Litigano, si strattonano. Dietro a loro il portinaio nonché pilastro del luogo Denis (che conta per la statica sociale dell’edificio più dei piloni di cemento armato) cerca evidentemente di fermarle, farle ragionale. E Shuhui piomba in ufficio, piange, agita in mano qualche cosa.

E’ arrivata dalla Cina da poche settimane; cresciuta in campagna con la nonna mentre i genitori stavano in Italia, ora si ritrova sola in un appartamento al secondo piano, dove i genitori la lasciano tutto il giorno: il papà lavora in un ristorante e la mamma in un laboratorio fuori città. E’ un libro in cinese quello che ha in mano, mi indica sempre disperata un numero, il 13 che precede alcuni paragrafi, dei molti numerati in ordine crescente che vedo. Ma capisco solo i numeri, perché tutto il resto è in cinese. La mamma, in un italiano stentato cerca di farmi capire: la bambina la picchia, non vuole stare da sola, ma lei come fa, deve lavorare, dove la lascia?

E Shuhui continua ad indicare quel 13, e piange, con caparbietà e rabbia. Poi mi viene un sospetto e prendo il libro: “Città Aperte: La Costituzione Italiana in italiano, albanese, arabo, cinese, francese, inglese, portoghese, rumeno, russo, spagnolo, filippino, bengali” stampata dal Ministero della Solidarietà Sociale. Mi si apre come una fossa sotto i piedi, fonda come il grattacielo.

Articolo 13 della Costituzione della Repubblica Italiana: “La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge….È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà…”.

Shuhui, che sa poche parole di italiano, la cui mamma ha scritto su ogni piastrella verdina del bagno una parola, in cinese e in italiano, che si è trovata in casa la Costituzione della Repubblica Italiana – unico? esito concreto dell’infinito peregrinare per uffici degli stranieri in Italia – si è seduta e caparbiamente se l’è letta. La Costituzione di un paese che le ha rubato la nonna, la Casa, la vita normale, la mamma e il papà, per trovare la norma, la regola, che riassuma l’ingiustizia della sua condizione. E per chiedere giustizia. Mentre la mamma la trascinava via sul marciapiede che circonda l’edificio lei urlava, in Italiano “Polizia!!!…Polizia!!!!”.


2. Per Ferragosto decidiamo di andare con la tenda a Montesole, il parco regionale bellissimo, per la grande avventura che Elia (cinque anni a dicembre) ci chiede da un pezzo: dormire fuori nelle tende!!!! Siamo tutti felici, i bimbi oltre ogni possibile immaginazione. Chiaramente la sera di venerdì, mentre cerchiamo di piantare la tenda sotto la grande quercia che sta a fianco della foresteria del parco viene una tromba d’aria; i gestori sono mortificati (non piove da mesi!!!!), ma non ci facciamo intimidire, e prendiamo tempo con tagliatelle, crescentine e lambrusco. A questo punto il vento si arrende e noi coroniamo il sogno dei bimbi. Si dorme in tenda!!!!!

Il posto è davvero bello: siamo solo noi, qualche olandese che soggiorna nel vicino campeggio naturista, e poi natura stupenda e rigogliosa, un paesaggio bellissimo, la valle che si apre, i boschi. A sera passa una volpe davanti alla tenda, di notte la luna piena!!! Sembra fatto apposta per far innamorare; e per farti riflettere sulle lapidi disseminate un po’ ovunque, lungo le passeggiate.

Mi tiene legata questo luogo, dai contrasti silenzioni ed intensi, dove le querce (anche la nostra) rimangono testimoni imparziali, del bene e del male; ci torno spesso. Monte Sole è tristemente famoso per i ricordi delle stragi del 1944, quando fra il 29 settembre e il 5 ottobre vengono massacrate dalle truppe nazi-fasciste in piena azione contro la Brigata Partigiana Stella Rossa, 770 persone nei modi più violenti e brutali, nelle case, nei luoghi di culto. Per lo più contadini, “zappaterra” come li ha definiti– definendo se stessa – Margherita Iannelli nel suo bel diario diventato libro. Di questi: 216 sono i bambini, 316 le donne, 142 gli anziani, cinque i sacerdoti. La quercia rimane silenziosa; lo sono anche io.

La mattina seguente, i bimbi svegli e arzilli, noi un po’ meno (complice uno scomodissimo materassino gonfiabile) prendiamo uno dei sentieri del Parco, e con la lentezza esasperante delle passeggiate coi bimbi - “oh guarda un buco…un tappo….un bastone…” - ci incamminiamo. Dopo poco (in misura metrica lineare, ma in unità di tempo dopo più di un ora) arriviamo presso i ruderi del Cimitero di San Martino. Li furono uccisi alcuni religiosi, e le lapidi ricordano tristemente i fatti.

Con sorpresa (e con non pochi interrogativi negli sguardi) ci accorgiamo che davanti al cimitero è parcheggiato un grande pulmann tedesco. Ci chiediamo cosa ci faccia qui, ma lo scopriamo pochi passi più avanti. Almeno una ventina di ragazzi poco più che maggiorenni (ci diranno poi: tutti tedeschi e due russe) sono sparsi sui ruderi della chiesa e la puliscono dalle erbacce, la curano, accudiscono il luogo. “Lavoro per la pace” dice in tedesco il gagliardetto appeso davanti al pulmann. Sono giovani tedeschi che curano il luogo dove i loro padri o nonni hanno sterminato intere famiglie. Già in questi luoghi le emozioni sono forti: adesso guardo i nodi delle querce e me li sento in gola .

Mentre tento di dissimulare l’emozione approfittando dell’ennesima scoperta strabiliante di Elia (una lucertola secca) uno di loro – sudato e affaticato come tutti – mi si avvicina e sorridendo un po’ perplesso per la desolazione del luogo (ma santo cielo, è Ferragosto!!!!!) mi chiede in italiano stentato: “Questo luogo….. è poco conosciuto?….non c’e’ nessuno!!”. Mi blocco ora, davvero come la quercia, o forse meglio, la lucertola secca: non chiedermi questo! Non tu!

No, ti giuro che qui la gente che viene è tanta, dovreste esserci per il 25 aprile, migliaia di persone festanti che fanno i picnic sui prati, mi piace perché è pieno di bambini, due anni fa un pullman di Torino aveva bloccato la strada che sale da Pian di Venola e erano decine le persone che salivano a piedi…è bello, siamo tutti qui! E dovevate esserci un sabato di primavera che facevamo un'altra bella passeggiata: una vecchia vespa, che si è cominciata a sentire da lontano, è arrivata fin qui, fino a questa panchina. Ed è sceso un vecchio, alto e magro, con la tuta blu degli operai e dei lavori della domenica. Portava un mazzetto di erbe e fiori di campo al suo amico prete, che venne ucciso proprio dietro il cimitero. Senza fretta, e silenzioso, ripeteva un gesto che ci ha spiegato faceva da sessant’anni.

Lui nel ‘44 aveva 17 anni, e si era nascosto sulla cima di Monte Sole perché aveva paura. Dormiva nei boschi, si copriva coi rami. Era stato nascosto diversi giorni, e quando era uscito, per tornare a casa a Marzabotto, aveva visto il disastro: tutto bruciato, tutti morti. “Tutti mazè! - ci diceva in dialetto - tutti mazè!…mah, io non so…ci penso sempre…i bimbi…tutti mazè…ma come si fa i bimbi?….Vado a parlare nelle scuole, mia nuora è maestra a Vedegheto, e io vado e racconto sempre le stesse cose…perché ce le ho in testa”. Quel pomeriggio, quando la vespa è andata via, nessuno ha detto più nulla, se non le querce.