lunedì 28 maggio 2001

Kenya 8 - "Chiedo scusa alle galline"


Carissimi,
qui a volte si perde un po' la misura delle cose.
Del tempo prima di tutto, ma questo oramai, per gli affezionati lettori che ci seguono dall'inizio, e' assolutamente scontato, e del resto accade anche lassu'. Solo che qui se ne perde la misura all'estremita' opposta: il tempo e' denaro, sia nel nord che nel sud del mondo. Nel nord significa che e' preziosissimo, e guai a perderne anche un briciolo; qui invece la conseguenza dell'assunto e' che chi piu' ne ha piu' e' ricco, quindi l'orologio non esiste.

Dicevo che si perde la realta' delle cose, perche' in questo paese , e nella nostra realta' personale, ti arriva un sacco di fumo negli occhi: internet, i supermercati, la pasta e l'olio d'oliva che riesci a trovare, la nostra bella macchinona (che adesso per fortuna e' di nuovo nel pieno delle sue facolta'), il progetto che funziona, i primi 75 crediti in via di esborso, le visite ai gruppi di donne che ti accolgono sempre con una gran festa, le serate a Nairobi con le videocassette di Tommaso, il ristorante giapponese (buonissimo, e molto piu' economico che in Italia).
Tutto questo un po' ti incanta, e ti fa dimenticare dove sei, cominci a pensare che le cose anche qui possono mveramente andare bene. Poi senti parlare di Ester.

Ester e' una ragazza inarrestabile, che per otto anni e' stata una delle lavoranti dei nostri padroni di casa (il ministro Bomettiano). Alta, magra, molto vivace, e soprattutto con una bellissima voce. E' la solista nonche' leader della propria chiesa "Africa Gospel Church". Qui l'appartenenza ad una chiesa e' fondamentale, ed Ester e' l'esempio della solarita' in persona. Lei ride o canta o sorride sempre: dice che e' perche' Dio vuole che siamo felici.
Del resto anche noi sorridevamo a vederla, e un po' ci veniva da ridere, perche' ha dei capelli stranissimi, che crescono in verticale sopra la testa, a spinacio, e lei per nasconderli usa sempre un berretto di lana. Come moltissime ragazze africane che ancora non sono sposate, Ester ha una bambina, Winnie, di 13 anni, che pero' ne dimostra 7 o 8. Ha avuto la tubercolosi: la fortuna e' stata che Ester, essendo lavorante di Kones, ha avuto il sostegno della Mami, la moglie del ministro, che ha preso a cuore la bambina, e l'ha fatta curare per mesi all'ospedale di Tenwek, quello dei missionari americani (che per inciso: e' a pagamento. Ester non se lo sarebbe mai potuta permettere). Oramai e' un po' che non vediamo Ester e Winnie, perche' pochi mesi fa Ester si e' sposata, ed e' andata a vivere a una ventina di chilometri da qui, a Kabaruso, il villaggio del marito, un una zona di colline molto verdi, e allegra. Questo e' quello che ho sempre pensato passando da Kabaruso.

Oggi, sabato mattina, stavamo andando a caricare la batteria della moto, quando la Mami ci ha fermato, e ci ha detto che Ester e' morta. E' morta di tubercolosi, dopo piu' di tre mesi che tossiva, e nessuno aveva pensato di portarla all'ospedale, neanche quando aveva cominciato a perdere peso, e a stare sempre a letto.
Io adesso non riesco a capire come sia possibile che Ester sia morta: e' ignoranza? E' poverta'? e' rassegnazione? E' la morte che qui fa parte con indifferenza della vita di tutti?
La Mami ci diceva che proprio qualche giorno fa Winnie era venuta in visita, e le aveva detto che Ester stava male, e lei si era raccomandata di farla venire a Bomet, che l'avrebbe portata subito a Tenwek. La Mami ci spiegava che nei villaggi quasi nessuno porta i malati in ospedale, e che si rivolgono ancora a qualche guaritore locale. Ma Ester ha vissuto anni a casa di un Ministro, ha vissuto a Nairobi, sapeva usare la televisione, i videogiochi, lo stereo, ha visto la sua bimba curata dallo stesso male: che cosa blocca queste persone nel loro fatalismo senza speranza, nel loro arrendersi comunque davanti al destino?
Parlavamo con Leishara, la ragazza americana che vive qui vicino, in un villaggio, con lo stesso stile degli africani, senza luce, senza acqua, senza soldi: se sei nato e vissuto qui, chi te lo fa fare di provare a cambiare la tua vita? Se sei nato e vissuto qui, hai visto almeno altre cento persone, che hanno fatto ciascuna cento tentativi, e per diecimila volte volte hanno fallito. Perche' non hai soldi, perche' hai altre dieci persone sulle spalle, perche' c'e' la siccita', o l'invasione di bruchi che ti divora tutto, o qualcuno che si ammala, o le galline che hai comprato muoiono perche' nessuno ti ha mai detto che devi farle vaccinare. Dentro di te hai aquisito la sicurezza che l'esito scontato e' la sconfitta. Perche allora devi provarci? Sai gia' come va a finire.

Questo pero' non era il caso di Ester. Il caso di Ester e' ancora piu' triste, perche' la disgrazia di Ester e' stata quella di essere una donna. Con una bambina a carico. Con un uomo che accetta di sposarti molto probabilmente perche' in condizioni simili non costi molto, qui il marito la deve pagare la moglie (Ci diceva un nostro conoscente molto orgoglioso, che sua moglie e' una maestra "E' molto difficile sposare una maestra, sapete? Costa nove mucche!"). Accetta di sposarti, ma lui e la sua famiglia, nel momento in cui ti ammali, non ritengono che valga la pena di spendere dei soldi per curarti, o semplicemente muoversi per portarti da chi si prendera' cura di te.
Che tu muoia o via, nell'economia di queste persone, di questi villaggi, non fa alcuna differenza. Qui la tua vita non e' affatto unica: sei uguale a tutti gli altri.

Sto leggendo un libro molto bello di Marja Gimbutas, archeologa, " Il linguaggio della Dea", sul mito e culto della Dea madre nell'Europa Neolitica. A margine del tema principale (splendido), mi ha colpito una notazione, sul ritrovamento di uno zufolo in osso intagliato, risalente approssimativamente a 18.000 anni prima di Cristo. 20.000 anni fa c'era qualcuno che zufolava : con una vertigine mi ha fatto pensare che non contiamo proprio un bel niente. Formichine una dietro l'altra.

Da noi tutti siamo diversi: c'e' chi ha investito per diventare un ingengnere, un primario, un ragioniere, un appassionato di filatelia, un ciclista con una bici da molti milioni, una professoressa, una chimica, una studiosa di maremoti, un attivista di Amnesty, un albergatore, un padre che deve pagare l'universita' ai suoi figli, un giocatore di borsa, un manager, un operaio specializzato, un appassionato alpinista, una biologa, una massofisioterapista. E se muore, muore un unico che e' satato coltivato, si e' coltivato per anni e decenni.
Qui la gente si limita a sopravvivere. Se muore Ester non cambia nulla. Se muore un ingegnere vanno persi anni e anni di investimenti e di aspettative. Chi aveva investito su Ester? Chi aveva aspettative su di lei? Qui solo la classe privilegiata fa progetti, investimenti: gli altri devono arrabattarsi per sopravvivere. E allora che qualcuno viva o muoia non fa alcuna differenza, perche' di Ester ce ne sono mille solo a Bomet, tutte uguali, analfabete, che tirano a sera.
Se muore un povero non fa impressione. Se muore un ricco molta.

Ricordo quando facevo roccia; il mio istruttore era un sigore bolognesissimo, diretto e senza peli sulla lingua. In un passaggio sulle dolomiti avevo sgagliato qualcosa, e mi stavo incastrando sempre piu' sulla parete, perche' avevo paura di cadere, e facevo tutto quello che nn si dieve fare (tipo tirarsi a forza di braccia, spalmarmi sulla parete, sprecare energie e fiato), fino al punto in cui hoproprio perso il controllo e ho cacciato un gran urlo dalla paura di cadere: "Tirami su, Gianni, ho paura!".
Il passagio era banale, lui mi ha tirato su, e mentre mi teneva per la corda, sporgendosi dall'alto mi ha risposto:"Ah soccia! Hai paura, eh, di morire? Ma allora vuol dire che sei ricca, se no non avresti mica tanto da perdere, sai?" .
Ester non aveva tanto da perdere? E chi la perdeva?

Ecco, purtroppo l'inizio del letterone e' stato segnato dalla morte di Ester; e' successo oggi, e quindi non potevo non parlarne.

Passiamo a cose piu' carine, che poi erano quelle che volevo raccontare.
In questo periodo stiamo organizzando parecchi corsi di formazione per i gruppi di donne. Si tratta di corsi brevi, massimo una settimana. La prima fase del lavoro ci ha portato in giro per quasi due mesi, a visitare i vari gruppi, nei diversi villaggi qua intorno. Si tratta di gruppi di donne che si mettono assieme, e cercano di mettere in piedi una qualche attivita' che le aiuti a migliorare le proprie condizioni di vita. Qui la tradizione dei gruppi di donne e' molto sentita, e tutte fanno parte
di un gruppo: si tratta di un forte senso della socialita', ma anche di un bisogno di mutuo aiuto, essendo che le scarissime risorse delle famiglie a volte non garantiscono neppure i bisogni primari.
Non per continuare con i miei frequenti discorsi al femminile, ma e' assodato che se la cultura lo permette, gli uomini danno sempre il peggio di se. Qualunque spiraglio in questo senso fa si che l'uomo comune, invece di nobilitarsi nelle difficolta, raggiunga scalini sempre piu' bassi, di vigliaccheria, inutilita' e indolenza. (il campo di battaglia e' aperto su questo tema). Non appena l'uomo puo' prevaricare con cialtroneria, accade: e' qui e' evidentissimo, anche all'occhio dell'osservatore distratto. Basta fare mezzoretta di macchina.
Si vedranno decine e decine di uomini di tutte le eta', fermi alla stazione di benzina (il centro piu' gettonato da tutti gli sfaccendati), o che inscenano baruffe alla fermata dei bus. Fuori dal centro di Bomet si vedra' qualche uomo in bicicletta, che trasporta due galli da vendere, o ragazzini dietro le mucche. Tutto il resto lungo la vostra strada sara': decine e decine di donne piegate sotto carichi di legna, a piedi, scalze: perche' trasportare la legna e' lavoro da donne.
Decine e decine di donne piegate sotto i bidoni dell'acqua, che trasportano (come la legna) con una fascia sulla fronte per reggerli appoggiati sulla schiena: perche' procurarsi l'acqua e' lavoro di donne.
Decine e decine di donne piegate sotto enormi sacchi di patate o mais, scalze, che li trasportano, le prime a vendere, il secondo a macinare, perche' l'agricoltura e' compito della donna.
Nei campi al lato della strada: donne piegate che zappano o raccolgono: e' compito delle donne.
Almeno la meta' della donne ha un bambino legato addosso con una fascia di stoffa.
Mi e' anche capitato di vedere una volta sotto la pioggia una coppia camminare lungo la strada: lui davanti, con scarpe e bastone. Lei dietro, con enorme sacco di mais sulla schiena e senza scarpe.
Aldo ieri ha visto: uomo che cammina tenendo la cornice leggera della porta, donna che lo segue sudata sotto la porta stessa!!

Quando organizziamo i corsi le donne sono felicissime di venire: ovviamente devono ottenere il permesso.
Una cosa che non capivo all'inizio delle nostre visite nei villaggi, era che programmavamo le visite ai gruppi di donne appunto, ma all'incontro, nella casa di uno dei membri, c'erano sopratutto uomini. Io in questi casi mi innervosisco facilmente, e all'inizio protestavo, perche' la capanna magari era piccola, ci entravano quasi tutti uomini, e oltretutto occupavano quasi tutte le panche o sgabelli presenti, quindi le donne se ne stavano in seconda fila o sedute per terra. A me la presenza di tuttiquegli uomini "inutili" mi indisponeva. Mi hanno pero' spiegato dopo le prime volte e le mie osservazioni che e' molto piu' importante che agli incontri coi gruppi di donne ci siano i mariti, perche' e' da loro poi che dovra' venire il permesso per lavorare con le mogli. Per cui sono i mariti a dover capire bene chi siamo, cosa facciamo, che non vogliamo sovvertire l'ordine famigliare, ma che vogliamo solo sostenere i piccoli progetti gia' esistenti con formazione ed eventuale prestito.
Per esempio, molti gruppi avevano pollai, con galline, che e' uno dei commerci della zona, ma spesso tutte le galline muoiono perche' le donne non sanno come si tengono le galline; oppure hanno una macina per il grano, ma non sanno dire se stanno avendo degli utili o se ci perdono; oppure producono mattoni, ma lontano dalla strada e nessuno lo sa e li compra; oppure risparmiano da anni, hano un certo gruzzoletto, ma non hanno la minima idea di che cosa farci; oppure sono riuscite a comprare un pezzo di terra, hanno costruito il negozio, ma non hanno i soldi ne la capacita' per fornirsi dei prodotti e cominciare a vendere.
I casi sono diversi, ma in comune c'e' sempre: grande unita' del gruppo, grande sacrificio delle donne, grande ignoranza nel campo in cui si vorrebbero cimentare, entusiasmo e voglia di imparare.
Non e' per continuare nel mio panegirico sulle donne, ma spessissimo ci siamo trovati di fronte donne che non ci chiedevano soldi, ma formazione "Guarda, non vogliamo soldi, vogliamo sapere come si fa il pane, i mattoni, si tiene la contabilita' di un negozio, trovare chi ci compra i vasi, come
si vaccinano le galline, visitare quel gruppo di donne che abbiamo saputo che ha aperto un negozio di ferramenta a Chebuniyo."
Quando ci chiedono i soldi spesso e' per incrementare la piccola cifra con la quale si sono organizzate autonomamente in un "Merry go round", letteralmente la felicita' che gira, o giostra: si tratta di una piccola somma che le donne hanno raccolto, e che mensilmente si passano prestandola a una del gruppo, che si impegna poi a restituirla, o che settimanalmente viene data a una donna a turno, perche' possa comprare qualcosa da vendere al mercato, tenersi il guadagno, e restituire la cifra a fine giornata.

Capita anche che, soprattutto i gruppi piu' vecchi abbiano risparmiato molto, e siano riuscite a costruire case che danno in affitto. Capita anche che il gruppo riesca a risparmiare una considerevole somma, si rivolga a qualcuno di citta (Bomet...) perche' le consigli sul da farsi, e abracadabra, la somma sparisca. Alcuni gruppi poi ci hanno richiesto cifre astronomiche per progetti
assolutamente sconsiderati, o cifre grosse, per progetti buoni, ma per le quali potrtebbero trovarsi in difficolta' a ripagare poi il prestito.
Per questo abbiamo organizzato brevi corsi un po' di tutti i tipi, pratici innanzitutto: come fare i mattoni, come tenere un pollaio, come tenere le mucche da latte e trattare il latte, come funziona un forno e si fanno pane e torte, come si fanno i focolari che consumano meno legna. Per questi ci siamo rivolti a organizzazioni specializzate, Ong keniane e straniere.
C'e stato poi bisogno per tutte di un corso generale, dal nome pomposo "Fare uno studio di fattibilita'" che significa femplicemente sedersi con le donne, e simulare, ripercorrendo per tappe ragionate, il giusto processo che deve affrontare il gruppo per valutare tute le variabili nella decisione se iniziare o meno l'attivita' o il business che ci e' venuto in mente. Questo l'abbiamo fatto proprio noi, con l'ausilio di materiali molto belli prodotti dall ILO (Internatioonal Labour Organization), ed e' stata un esperienza veramente coinvolgente.
Le classi erano di non piu' di 25-30 donne, due per ciascuno dei gruppi che avevamo visitato, scelte possibilmente tra quelle che sapessero leggere e scrivere, di modo che potessero poi trasmettere le cose imparate al gruppo.
Gia' questa ricuesta pero' si e' scontrata subito con la cultura locale, che tributa alle donne anziane del gruppo assoluto rispetto e precedenza: molti gruppi hanno mandato infatti una donna anziana (anche molto anziana!!) la saggia o quella da cui normalmente si chiede consiglio, accompagnata (per aderire alle nostre richieste) da una ragazza giovane, di un altra generazione non solo per eta', ma perche' istruita, e magari piu' sveglia della media. Il gruppo ha rispetto totale per le donne anziane, che magari parlano solo il dialetto locale e sono analfabete, ma che hanno sicuramente l'esperienza per valutare l'importasnza delle cose che si trattano, e il dovere di consigliare le giovani, che magari hanno abilita' nuove (leggere e scrivere), ma non esperienza.

Vedere queste donne anziane al corso era uno spettacolo. In genere donnine molto piccole, molto accudite e rispettate, anche se spesso assolutamente non in grado di seguire la giornata, o di capire di cosa si stesse parlando. Allora ogni tanto tutte le altra ridevano sotto i baffi, ma sempre in maniera molto affettuosa e divertita. Tutte in classe portano il classico fazzoletto africano legato sulla fronte, coloratissimo, e molte avevano con se i bambini piu' piccoli, attaccati alla tetta anche quando facevamo i conti alla lavagna (molte hanno voluto la foto ricordo mentre scrivono alla lavagna col bambino sulla schiena). Considerato che tutte vengono da villaggi, per loro una settimana del genere e' stato come per noi vincere un viaggio premio con corso gratis all'Universita' di New York: tutte erano esaltatissime, assolutamente concentrate e attente (in tutti i corsi hanno voluto eleggere una time-keeper, che bacchettasse il gruppo se arrivava tardi o perdeva tempo).
Qui per tradizione tutti parlano a voce bassissima, e all'inizio l'impressione che si ha e' che siano molto intimidite. Poi pero' basta pochissimo per rompere il ghiaccio e creare un'atmosfera vivace, dove tutte chiedono e intervengono sempre.
In uno dei corsi non sapevamo bene come scongelare la sala, e ci abbiamo provato con lo stupidissimo giochetto di fare uscire una donna dalla stanza, e metterci d’ accordo con le altre di imitarne tutti i gesti e parole al suo ritorno: e' stato un delirio, sono tutte impazzite, la malcapitata e' quasi scappata dallo spavento, non capiva cosa stesse succedendo, e tutte anno riso e pianto dal ridere per venti minuti abbracciando la poveretta che si e' anche dovuta togliere maglia e maglione dal ridere, per poi impazzire di nuovo tutte le volte che si raccontavano quello che era successo e si ripromettevano di fare quello scherzo anche nelle loro case.
Il corso e' stato un successo, inutile dirlo!

Nei corsi poi entra l'abitudine africana di cantare: in africa le donne cantano spesso, per esprimere gioia, ringraziamento, ma anche semplicemente per rialassarsi. Cosi' ogni ora le donne chiedono di fermarsi, si alzano ecantano ballando per qualche minuto, canzoni ridicole o religiose (mille e mille volte e' stato ringraziato Dio per il corso). Per cui l'atmosfera e' veramente allegra, piena e appagante.

Abbiamo organizzato anche alcune attivita' per aumentare l'autostima di queste donne: scopriamo i nostri talenti!! Si trattava di convincerle a turno a raccontare la cosa che sanno fare veramente bene, e della quale sono orgogliose. Beh: queste donne, che hanno una media di 5-7 figli, che lavorano nei campi, che genericamente non sono andate a scuola, che sgobbano come solo donne del terzo mondo possono fare, dopo le prime reticenze e timidezze si sono messe a raccontarci cose fantastiche: "io sono bravissima a recitare, e mi piace moltissimo fare la parte della dispettosa (e con tutte che ridono come matte)...io sono bravissima a cantare, e canto nel coro della mia chiesa...io so far girare tre palline in aria, e via coi gessetti e tutte che fanno il tifo......io 23 anni fa ho imparato ad andare in bicicletta e sono stata la prima nel mio villaggio (applausi di tutte, serissime, io tutt'ora non ho mai visto una donna in bicicletta), adesso pero' dopo 4 figli e il mio "Matako kubua" (il grande culo che mi ritrovo) non ci vado piu' (applausi e risate da cadere dalle sedie).....io faccio un chapati (piadina) buonissimo...io a scuola sono stata una bravissima responsabile della mensa". Non e' che queste donne facciano niente tutto il giorno, ma nessuna ha parlato di cose serie o pesanti.
In uno dei corsi, molte avevano gia' esposto le proprie abilita', e si era creata quell'atmosfera un po sul " beh, nessun altro ha niente da dire?", quando una donnina anziana, di quelle che non parlano che il loro dialetto e non sono mai state a scuola, ha preso la parola (era cosi' piccolina che seduta sulla sedia non toccava terra coi piedi) e ha detto: "Io da piccola ero bravissima a tenere le capre.
Mio padre mandava me e mio fratello perche' eravamo i piu' piccoli, ma io ero molto piu' brava di lui, e alla fine ha mandato solo me. Come me le capre non le teneva nessuno, ero molto orgogliosa di tenerle io". A 70 anni, dopo 10 figli, non deve essere stata lodata molto spesso nella sua vita.

Nei corsi, due i momenti clou: il viaggio di istruzione, e la consegna dei certificati.
Il viaggio di istruzione: qui se dici: "Il mais cresce meglio se ci metti la merda di mucca" non ci crede nessuno. Se invece si riesce a mostrare il mais senza concime e il mais col concime, allora la cosa e' provata. Quindi, la gita di istruzione e' un must!
Si tratta di trovare qulcuno che gia' faccia le cose che si sono affrontate nel corso, e andarlo a trovare. Quindi si affitta il classico camioncino da idraulico, ci si sale in trenta, una buon a fetta sta aggrappata fuori, e si canta tutto il viaggio: gia' questo di per se e' uno spettacolo.
I canti sono canti ritmati da un ritornello cantato da tutti a squarciagola, e le strofe cantate dalla solista-paroliera per l'occasione. Infatti qui i canti servono per raccontare cosa si e' fatto, esprimere le emozioni, ringraziare sempre e comunque Dio per la meravigliosa giornata. Allora vegono fuori cose tipo: " Siamo cosi' felici oggi perche' abbiamo imparato qualche cosa di nuovo, che Dio ci ha insegnato.....chiedo scusa alle mie galline per quello che gli ho fatto quando non sapevo come si tengono le galline, e mi dispiace di non potere chiedere scusa a quelle che sono gia' morte...io non ero nessuno, ma poi ho ricevuto una lettera indirizzata a me!!- non mi era mai successo nella mia vita- e adesso grazie a questo sono diventata qualcuno.....conosco uno che e' andato a studiare in giappone, ma e' tornato matto e adesso non si lava piu': a noi questo non e' successo, perche' in questo corso ci ha guidato Dio..." E cosi' via, l'apprezzamento per ogni strofa sottolineato dall'acutissimo e caratteristico grido acfricano che lanciano le donne quando sono felici.
Poi durante le visita concentrazione massima, domande, vivo interessamento verso chi ci ospita, e che sta facendo le cose di cui si e' discusso, te per tutti (l'ospitalita' e' sacra) solite torme di bambini impazziti, e di nuovo verso casa, sul camioncino che e' diventato un proiettile umano sotto tutta la gente in piu' che si attacca per capirite chi sono queste donne che sfrecciano ad alto volume e risate per le campagne.

Il momento dei certificati poi e' la conclusione: una sorta di diploma, con nome e firma del direttore del corso, che viene trionfalmente portato a casa e appeso nella capanna. Queste donne spesso non sono andate a scuola, o comunque non hanno alcun riconoscimento nella loro vita. Allora il certificato, e la foto del momento delle consegna sono una grande emozione: all'inizio non avevamo capito l'importanza della cosa, e al primo corso organizzato, senza certificati finali, abbiamo dovuto riconvocare tutte le donne per la consegna successiva, visto che alla ferale notizia si erano ammutolite e si chiedevano oramai perche' erano venute al corso.
Noi consegnamo i certificati, e loro consegnano i regali; allora c'e' la danza in cerchio, in cui la solista a turno canta strofe sulla settimana trascorsa, tutti si balla e urla, e una alla volta ci vengono a prendere per tirarci nel centro, e consegnare i regali, con una danza e un canto molto allegro e ritmato, utilizzato sempre quando si deve consegnare un regalo a qualcuno.
Cose ricevute: una zucca gigante (che ho lottato per tagliare col panga, il machete locale, e che per tradizione gli uomini non possono toccare) (perche' e' un lavoro faticoso suppongo); un kanga, il telo africano che serve da gonna, copricapo, sacca per trasporto, portabimbosullaschiena e pannolini, a seconda dell'occasione; una quantita' indefinita oramai di kalabash, la zucca oblunga svuotata, cosparsa di carbone all'interno che serve per trasportare il latte fermentato e affumicato, prelibatezza di qui; un gallo e due galline; tre tazze di latta; sacchi di cipolle, miglio, pannocchie, patate; una lancia; due rungu, il corto bastone masai, un arma micidiale, con un grosso nodo di legno sulla cima, che lo rende capace di uccidere un uomo, e che i masai usano per cacciare gazzelle lanciandolo da lontano (una cosa buffa: noi lo teniamo in macchina come arma di difesa, ma essendo veramente pericoloso, e' proibito girare col rungu in citta, sicche' a Nairobi non lo si vede.
Gli unici che ovviamente lo portano anche in citta' come se fossero nella savana sono i masai, che da rungu, lancia e dastone da pastore non si separano neanche sui matatu (bus) cittadini. Perche' chiedevo? Di tu ad un masai di lasciare il suo rungu, mi e' stato risposto. I masai sono guerrieri, e molto irascibili. A noi hano addirittura consigliato che se ci dovesse succedere qualcosa, tipo tamponamento in citta', cosa frequentissima, la cosa migliore e' di lasciare un masai di guardia alla
macchina, e al nostro ritorno ci sara' tutto).

Insomma, questo e' un po' uno spaccato di alcune delle attivita' del progetto, pensieri e particolari impressi nella retina.


Alla prossima,

Elena

martedì 15 maggio 2001

KENYA 7 - La foresta







Domenica siamo stati nella foresta: la foresta e' talmente viva, che quando ci passi in mezzo, tutti gli odori, i suoni, i profumi, i riflessi, le gocce, i rami, ti si avvicinano, e ti studiano, come un animale curioso, annusandoti; e poi visto che non offri resistenze, si estendono anche su di te, ti si avvolgono addosso, ti penetrano. Sono i mille tentacoli della foresta, che ti fanno respirare con un unico respiro, il suo, e sentire in modo piu' limpido, vedere attraverso i suoi verdi occhi la scomposta mole che ti circonda, mollemente adagiata su un fianco.

Vista da lontano la foresta e' un essere pulsante che si srotola pesantemente e lentamente giu' per i colli, fino ad arrivare alla cintura del te, limite artificiale per la battaglia su entrambi i fronti: il dilagare dell'uomo e il dilagare della foresta.

La foresta e' una grande donna, stesa con le gambe aperte, e dalle sue gambe nasce tutta la vita che si estende a vista d'occhio; e' la grande Pachamama delle culture sudamericane, che in essa veneravano la Terra, fonte di nutrimento, creatrice della vita.

Antiche tradizioni africane adorano la foresta come una divinita': terribile e generosa, che nasconde in se non solo le anime dei defunti, ma anche quelle dei bambini che devono ancora nascere, che spiano il mondo in attesa del proprio turno, cullati nei vapori e nelle nebbie che la mattina si alzano dalla foresta.

La foresta cura e protegge i suoi abitanti: ci mostrava un uomo la pianta per curare le malattie polmonari, quella per eliminare i vermi, quella per addolcire le contrazioni durante il parto, quella per curare il diabete, quella per proteggersi dal malocchio, quella che piantata a rovescio nella terra del vicino ne causera' con un sortilegio la morte certa.

La foresta e' piena di rumori. Al tramonnto tutti gli uccelli cantano assieme, il chiasso degli stadi, il chiasso delle ore di punta!

Nella foresta c'e' un sentiero: largo ben tenuto, non come le solite strade africane. E'la via dell'oro, del trasporto del legno. Abbiamo incontrato molte persone a piedi, macchie colorate nel verde brillante: dal nulla verso il nulla, non si puo' pensare altro quando sono gia' venti chilometri che si procede nella foresta. Ma gli africani camminano. Stanno percorrendo a piedi oltre 70 kilometri, perche' hanno saputo che dall'altra parte della foresta si vende della terra coltivabile, a poco. Donne e uomini; una ragazza con la sacca della scuola. Se chiedi quanto dista non lo sanno. Sanno quant'e' in ore di cammino; in questo caso dalle tre alle sei.

Noi siamo sulla moto: crema solare ad alta protezione in viso, collo, orecchie e mani (siamo verso i 2000 metri e qui è solleone equatoriale); scarpe rinforzate (in caso di caduta su fango), giubbotti antivento (solleone ma fa anche freddo all’ombra della foresta!), zaino con cibo e acqua per ogni evenienza, e, dulcis in fundum, coltellaccio masai di almeno 30 cm, con custodia di pelle rossa di traverso sul manubrio della moto, da brandire in caso di incontri indesiderati (e si pensa soprattutto ai bufali). Aldo è esaltato e aspetta solo di poterlo raccontare agli amici della curva sud del Vicenza; io ispirata mi guardo attorno da sotto il casco integrale.

Non vi dico le facce all’incontro surreale, dopo almeno una quarantina di kilometri, nel fitto più fitto della foresta, praticamente più nessuno attorno a noi. Incrociamo, che sbuca da una curva come allo stadio olimpico, nel silenzio più armonioso, uno dei mitici fondisti keniani che vincono tutti gli ori nelle gare internazionali: per allenarsi attraversa la foresta di corsa. Senza scarpe, con un paio di braghette corte tutte strappate, petto nudo, niente acqua né cibo, arco e frecce a tracolla (i bufali, anche lui). Ci guardiamo reciprocamente senza parole, più noi che lui, un saluto, un breve scambio di informazioni, e via. Si sentono solo i piedi nel fango. Noi da fighi alla Malboro country, cominciamo a sentirci i Brambilla in vacanza.

Ho trovato dei brani molto belli che descrivono la foresta; uno e' di Celine, che nelle foreste del Congo ha passato alcuni anni a seguito delle compagnie coloniali francesi, l'altro di uno scrittore Angolano, che nella foresta ha fatto la guerriglia contro i Portoghesi, non qualche secolo fa, ma negli anni 60 e 70.

Celine:

"I tramonti di quell'inferno africano si rivelavano straordinari. Non te li toglieva nessuno. Ogni volta tragici come mostruosi assassini del sole. Un immenso bluff. Soltanto che c'era troppo da ammirare per un uomo solo. Il cielo per un ora si pavoneggiava, tutto spruzzato da un capo all'altro d'uno scarlatto delirante, e poi il verde scoppiava in mezzo agli alberi e si innalzava dal suolo a striscie tremanti fino alle prime stelle. Dopo di che il grigio riprendeva tutti l'orizzonte, e poi di nuovo il rosso, ma allora stanco il rosso e non per molto. Finiva cosi'. Tutti i colori ricadevano a brandelli, afflosciati sulla foresta come vecchi stracci alla centesima replica. Ogni giorno alle sei e' esattamente cosi' che andava.

E la notte con tutti i suoi mostri entrava allora in ballo tra mille e mille rumori di gole di rospo.

La foresta aspetta solo il loro segnale per mettersi a tremare, fischiare, muggire da tutte le profondita'. Un enorme stazione amorosa e senza luce, piena da schiattare...E poi nient'altro che i neri del villaggio e i loro tam tam, questa percussione farneticante sul legno cavo, tremiti del vento.

Il giorno alla fine sopraggiunge con una tromba di luce"

E Pepetela, sinonimo di Artur Carlos Mauricio Pestana dos Santos (!!) angolano che dopo aver studiato in Europa si e' unito come combattente alla lotta di liberazione Angolana nella foresta congolese del Mayombe:

"Terminarono di mangiare alle sei del pomeriggio, quando il sole era gia' scomparso e la notte aveva coperto il Mayombe. Gli alberi enormi, dai quali pendevano liane grosse come cavi, danzavano nell'ombra seguendo i movimenti delle fiamme. Solo il fumo poteva liberarsi dal Mayombe e salire tra le foglie e le liane, disperdendosi rapidamente in alto come acqua che, precipitando da una stratta cascata, si allarga in un lago....

...Tutti si addormentarono. Tra poco si sarebbero svegliati con la pioggerella fine che prima avrebbe bagnato la cima degli alberi e poi sarebbe caduta dalle foglie, quando gia' smetteva di piovere. Cosi' e' il Mayombe, che puo' fermare la volonta' della natura....

..Il pesante silenzio non venne lasciato alle spalle, come si fa con le liane che sbattono contro il viso durante la marcia. Il silenzio era il Mayombe stesso, sempre lui, sempre presente, per quante liane ci lasciasse alle spalle.

(...) Le foglie secche si spezzavano sotto gli stivali, ma il rumore veniva soffocato dal baccano della sega che devastava la foresta. I guerriglieri scavalcarono un enorme tronco caduto al suolo: ormai non respirava piu', mostro decapitato; e i rami tagliati erano sparsi al suolo. Dopo avergli interrotto il flusso vitale con la sega, erano arrivate le asce a separargli le gambe, le braccia, i peli, e stava li, livido nella sua pella bianca. Il gigante, che poco prima fremeva al vento e sfidava le nuvole, era immobile ma pieno di dignita'. Nella sua agonia aveva trascinato con se i giunchi, gli arbusti, le liane, e il suo rantolo mortale faceva tremare il Mayombe, zittiva i gorilla e i leopardi.

(...) E si mischio' a loro, mentre il capitano continuava ad osservare caparbiamente le liane che salivano fino agli alberi per poi discenderne, intessendo cosi' un enorme e complicata tela che avvolgeva il Dio Mayombe e creava la sua atmosfera, il suo essere.

(...) Di fronte a lui il gigantesco gelso. Il tronco si stacca dalla fusione della foresta, ma se percorro con gli occhi il suo cammino verso l'alto, le foglie si mischiano alle foglie e di nuovo tutto si fonde. Solo il tronco risalta, si individualizza. Cosi' e' il Mayombe. I giganti sono tali solo parzialmente, alla base, mentre il resto si confonde nella massa. Cosi' e' l'uomo. Le impressioni vive sono meno nitide e la macchia verde, predominante, confonde progressivamente la sagoma nitida del tronco di gelso gigante. Le macchie verdi si sovrappongono sempre di piu', ma in un lampo il tronco del gelso riesce ancora ad affermarsi dibattendosi. Cosi' e' la vita"

A Bomet si cono due foreste: una a nord, la Mau Forest (verde, come la si puo' immaginare) e la Chepalungu Forest, a sud, piu' secca, vicino al Trans Mara.

La Mau forest e' ancora abbaatanza grande, 38.000 ettari, ed e' parte della piu' grande Narok Forest.

La Chepalungu forest e' piccola, e malata; 5000 ettari, piu' aridi: l'eccessivo utilizzo delle risorse che poteva fornire (leggi taglio indiscriminato) ha portato tutta la zona sud di Bomet a soffrire di costante mancanza d'acqua, visto che la gran parte dei ruscelli che nascevano dalla foresta oramai si seccano durante la stagione secca, quella in cui risultavano l'unica fonte d'acqua.

La Mau Forest e' piu' ampia, ma gia' segnata da molti spiazzi di buldozer; qui il legno, piu' che per costruire, si usa come legna da ardere o per fare il carbone: per i focolari delle famiglie.

Sono state piantate alcune zone di rimboschimento, ma poche, solo con alberi destinati allo sfruttamento industriale, e comunque non ancora sfruttate, perche' giovani, e perche' la foresta ancora puo' fornire abbondante materiale a buon mercato (Sic! Da documenti ufficiali).

L'unica fonte di energia del distretto e' la legna da ardere o il carbone, prodotti che provengono appunto dalle due foreste. Attualmente la produzione non e' sufficente a coprire i bisogni della gente, e quindi arriva molto legno e carbone anche dalle foreste piu' lontane. Qui tutto brucia legno, e la cosa vale anche per le citta': Kericho, Nakuru, e Kisumu, anche a trecento chilometri di distanza, mandano qui sempre piu' camion per rifornirsi.

Non bastando l'uso privato, tutte le industrie di produzione del te (e Kericho, a 50 Km di distanza e' il cuore della produzione di te in kenia, con piantagioni sterminate, a perdita d'occhio) fanno funzionare i propri essiccatoi e bollitori a legna. Tonnellate e tonnellate di legno, che viene scaricato quasi quotidianamente nelle grandi aree antistanti le fabbriche, per tonnellate di te destinato all'esportazione. Un tempo i macchinari andavano a gasolio: ma risultava troppo costoso. Forse la grande siccita' dell'anno scorso non doveva essere cosi' inaspettata: qui lo vedi fuori dalla porta di casa che se tagli la foresta non piove piu'. La rapida mercificazione delle foreste, Chepalungu e Mau, sta causando grandi danni all'ecologia del distretto. Il problema e' che si stanno tagliando piu' alberi di quanti non se ne piantino. Il risultato e' la degradazione dell'ambiente, che porta alla distruzione delle risorse idriche e alla perdita di fertilita' dei suoli. Alcuni fiumi del distretto si sono gia' trasformati in rivoli stagionali, e addirittura il fiume principale, l'Amado River, uno dei piu' importanti affluenti del Nilo sta scendendo di livello in maniera impressionante.

Per questo c'e' bisogno di fare qualcosa: c'e un programma molto interessante di produzione e diffusione di focolari che risparmiano legna. In questo modo si prendono piu' piccioni con una fava: cala la legna necessaria al fabbisogno familiare, diminuisce la spesa delle famiglie per comprarla, diminuisce il taglio degli alberi e la fatica delle donne per trasportarsela sulla testa. Si chiamano Fuel wood Conservation Stoves, alcune organizzazioni americane le stanno diffondendo in sud america, e noi qui abbiamo cominciato con un corso in cui abbiamo insegnato alle donne come si producono (fango e metallo), e speriamo di riuscire a trovare fondi per un programma per diffonderne l'uso. Inoltre eliminano il fumo terribile che riempie costantemente le case e le capanne di questa gente, causando molte gravi malattie polmonari, soprautto ai bambini.

E l'industria del Te? Io posso insegnare alla gente ad affumicarsi di meno e spendere meno per la legna...ma le multinazionali del te??? Il Kenya non puo' imporre alle multinazionali di ritornare al petrolio, perche' questo e' piu' costoso, e le multinazionali si appellerebbero al WTO vincendo la causa contro lo stato, per imposizione di una legge che discrimina il mercato.

Quindi?

Quindi?

Ovviamente per il Kenya non si pone la questione del WTO. La classe politica e dirigenziale del paese ha troppi interessi personali ed e' troppo corrotta per arrivare mai a fare qualcosa che potrebbe diminuire i propri personali guadagni. Quindi qui non succedera' mai che verra' emessa una legge che obblighi le industrie della raffinazione del te a rivolgersi a fonti di energia alternativa.

Ma due considerazioni: la prima e' che quindi anche qui si distrugge una foresta per gli sfizi del primo mondo...il te delle cinque. E secondo, ho provato ad immaginarmi uno scenario diverso.

Mi sono immaginata che la classe dirigente di un paese africano derubato e corrotto come e' il Kenya, magicamente una mattina si svegliasse con un terribile mal di testa e mal di pancia: un terribile senso di colpa!

Un malessere che non e' dato dai bagordi della sera prima, ma una vera e porpria vendetta della coscienza esiliata, una presa di coscienza di quanto con tutte le ladronerie e connivenze influenti abbiano portato alla rovina il paese. E decidessero quindi che non ce la possono fare a sentirsi cosi' male, che devono assolutamente fare qualcosa, tentare di porre rimedio alle malefatte di un passato vergognoso e da dimenticare.

Quindi si siedano, e decidano di mettersi di buzzo buono a sistemare le cosa. Per esempio, decidano di proteggere le proprie foreste: tra i provvedimenti, imponendo alle multinazionali del te di utilizzare fonti di energia alternative, non il legno.

E magari, presa l'infilata, decidano anche di farla finita una volta per tutte con lo scempio che si sta facendo di tutto il bacino del lago Naivasha, sulle rive del quale sono state impiantati chilometri e chilometri di serre per fiori da taglio, da multinazionali anglo-israeliane. Giusto per inciso, e' grazie a queste multinazionali che il lago e' ormai drammaticamente inquinato di pesticidi, e' calato di livello, e la pesca e' stata proibita perche' il pesce rischia di scomparire (proibiscono la pesca al negretto con la barchetta! Che, per inciso adesso sta seduto sulla riva con alle spalle 12 kilometri di serre che pompano acqua dal lago e veleni nel lago). Questi fiori, che tagliati la sera vengono portati a Nairobi, MENO DI 24 ORE DOPO, e cioe' la mattina seguente, sono sui mercati olandesi dove tutti i grossisti li comprano per permetterci di portarli alla fidanzata o alla mamma al cimitero. L'aereoporto di Nairobi ha tutto un settore chiuso al pubblico, utilizzato solo dalle compagnie fioriere.

Queste compagnie a Naivasha stanno distruggendo un ecosistema che sosteneva gli animali del Parco dell'Hells Gate, e che erano stati l'ispirazione per il romanzo "Nata Libera" di Joy Adamson, romantica inglese che sulle rive del Lago Naivasha appunto viveva, circondata da Leoni, aquile dal collo bianco (rarissime) e scimmie Columbus.

Oggi il lago Naivasha, oltre che meta turistica per i disattenti europei che non si chiedono piu' di tanto cosa siano quei chilometri di serre, e' una pozza di veleni, che uccide gli animali; i pesticidi hanno fatto salire in maniera impressionante le allergie e le malattie respiratorie dei bambini, mentre i genitori (decine di migliaia di lavoratori) si avvelenano con gli stessi pesticidi sudando nelle serre.

Di nuovo per inciso; per che cosa? Le compagnie fioriere hano recintato tutto; i lavoratori devono obbligatoriamente vivere dentro la proprieta', pagare l'affitto alla compagnia per la stanza che viene assegnata a ciascuna famiglia (a prescindere dal numero dei membri, in media sei), e guadagnano in media meno di 2000 Ksh al mese, cioe' 60.000 lire per stare chinati dieci ore nelle serre a piu' di 40 gradi, umidita' al 90%. Per darvi un idea dei prezzi: un quadrimestre di scuola costa 5000 ksh (15.000 l'anno, per una scuola tra le peggiori, 26.000 per una decente. E di figli almeno tre sono i eta' scolare), un pollo 300, le uova 6 l'una, l'affitto 500 al mese, la legna e il carbone sono da comperare, l'acqua pure, una zanzariera 1000 khs, una visita dal dottore 200 ksh. Tutti lavorano a giornata. E non dimentichiamoci che la compagnia si riprende i soldi dell'affitto.

La stessa condizione e' quella dei raccoglitori di te. I raccoglitori di te sono tra le fascie di popolazione piu' a rischio, per poverta' malattie, impossibilita' di accesso ad educazione e cure.

E siamo tornati quindi alle nostre multinazionali del te. Un colpo di spugna, una legge responsabile, che le costringa a utilizzare combustibili alternativi, e ad adeguare le condizioni della manodopera a standard non dico simili ai nostri, ma almeno umani. E per le compagnie fioriere: obbligo di scavarsi i propri pozzi, divieto di prelevare dal lago, divieto di scarico dei pesticidi nello stsso, anzi, divieto di utilizzo di pesticidi dannosi per i lavoratori e l'ambiente. Finalmente! Finalmente la gente sarebbe contenta dei politici che ha eletto. E anche noi magari ci sentiremo un po meglio, e torneremmo alle nostre belle margherite e soffioni di prato, sorseggiando camomilla.

Tutto questo, ammesso che appunto i politici impazzissero di colpo, e decidessero di tagliare in questo modo drasticamente i propri guadagni diretti e indiretti (tangenti, per lasciar correre), tutto questo non sarebbe legale, e il Kenya potrebbe essere portato immediatamente davanti al tribunale del WTO, dalle multinazionali danneggiate, che lo citerebbero immediatamente per aver in talmodo danneggiato il libero mercato. E il Kenya, per non incorrere in pesanti sanzioni, dovrebbe abbozzare.

Vi sembra fantascienza? Vi sembro una pazza esaltata di ritorno da Seattle?

Il WTO viene istituito il 1 gennaio 1995, e conta oggi 134 paesi membri. La World Trade Organization (Organizzazione Mondiale per il Commercio) e' un istituto commerciale straordinariamente potente, che ha la facolta' di applicare una normativa di oltre 700 pagine, che regolamenta numerose questioni prima di competenza dei governi nazionali.

Il nuovo organisom e' dotato di eccezionale potere esecutivo, mai contemplato ner' dagli accordi sul controllo mondiale degli armamenti, sull'ambiente o sui diritti umani, ne' adlle altre massime convenzioni internazionali. Da esso scaturisce un nuovo sistema di governo globale in cui un paese puo' mettere in discussione le leggi di un altro sottoponendole al giudizio di commissioni riservate, formate da burocrati del commercio, che si riuniscono a porte chiuse nella sede di Ginevra. Le politiche ritenute in contrasto con il WTO dovranno essere abrogate o modoficate. I paesi che insisteranno nell'adottarle pagheranno al paese che risultera' vincente nel giudizio tariffe piu'alte o compensazioni di altro tipo.

Le norme del WTO possono per esempio limitare l'efficacia delle leggi di un paese in merito alla sicurezza dei cibi o al rispetto delle norme di etichettatura dei prodotti. Possono impedire ad un paese di vietare il commercio di prodotti ottenuti con il lavoro minorile. Possono persino regolamentare l'impiego delle imposte statali. Le restrizioni del WTO si applicano tanto alle leggi locali o regionali quanto a quelle nazionali.

Questo sistema sta causando un pericoloso slittamento del potere decisionale, dalle istanze responsabili e democratiche-dove i cittadini hanno la possibilita' di votare perche' si faccia il pubblico interesse- a entita' internazionali occulte e remote, prive di responsabilita' di fronte ai cittadini, se cui norme e iul cui operato soggiaciono agli interessi delle imprese globali.

La tendenza che emerge e' che il WTO sta tacitamente erodendo l'equilibrio tra gli interessi cittadini in fatto di equita' economica, protezionje dell'ambiente, salute e sicurezza da un lato, e gli interessi a breve termine delle imprese globali in fatto di controllo dei mercati e di redditivita' dall'altro.

Le crescenti limitazioni imposte dal WTO alla facolta' dei governi di mantenere normative di pubblico interesse vengono attuate per mezzo di un sistema di commissioni interne al WTO, che hanno la facolta' di giudicare la conformita' delle leggi di un paese ai principi del WTO. In nessun caso, NESSUNO, sottoposto al WTO dal 1995 ad oggi, il WTO ha deliberato a favore di leggi nazionali a portezione della salute, del lavoro, dell'ambiente, o del commercio interno contro quello delle multinazionali: le politiche legislative prese in esame sono invariabilmente state definite "barriere illegittime per il commercio, che in quanto tali devono essere abolite e modificate".

Quindi, anche se i gaudenti governanti di questo paese, rinsavissero tutto d'un tratto, e decidessero di emenare finalmente leggi a protezione della propria gente e della propria terre, sarebbero immediatamente deferiti al WTO, che rigetterebbe come illegittime tali leggi.

Questo e' gia' successo, mille volte dal 95 ad oggi, e se ne sa ben poco: abolizione di una legge USA che rifiutava la commercializzazione di tonno pescato con reti che sterminano branchi di delfini, ed imponeva modalita' "dolfin safe"; blocco di una legge USA che tentava di diminuire gli scarichi dei gas delle auto; blocco di una legge canadese che imponeva di salvaguardare le tartarughe nella pesca dei gamberetti; blocco di una legge di nove paesi europei che proibiva l'utilizzo di amianto, in quanto agente cancerogeno; blocco ad una sentenza dell'Unione europea che imponeva il divieto di importazione in europa di manzi contenenti residui di ormoni artificiali; attacco della Chiquita all'Europa per il trattamento preferenziale alle banane provenienti dalle ex colonie europee; attacco vinto. Spesso pero' non serve un giudizio; basta la minaccia del ricorso al WTO: la Corea mitiga due leggi sulla sicurezza dei cibi, una sui tempi della conservazione della carne, e una sui controlli di frutta e ortaggi; e poiche' in genere i paesi in via di sviluppo mancano generalmente delle risorse e delle competenze per difendersi nelle controversie, queste minacce possono essere particolarmente lesive.

Addirittura, grazie alla normativa WTO il commercio globale ha la meglio sule piccole imprese; in cinque anni di esistenza del WTO la quota del commercio mondiale in mano ai paesi piu' poveri si e' drasticamente ridotta.

Le multinazionali farmaceutiche scopronole proprieta' curative del neem indiano? Ne ottengono il brevetto e privano le popolazioni indigene di trarre vantaggio dalla conoscenza che hanno sviluppato per secoli.

Una volta che una compagnia possiede il brevetto per una certa qualita' di seme puo' obbligare i contadini provi di denaro a pagare una royalty annuale, o a non impiegare piu' quella varieta'; e i contadini del terzo mondo vivono su un agricoltura di sussistenza, che permette loro di seminare anno per anno grazie ai semi tenuti da parte grazie al raccolto dell'anno precedente.

Le aziende si stanno gia' muovendo in questo senso, e hanno messo a punto un trattamento del seme " terminator technolgy", che permette di modificare le piante rendendo i semi sterili, di modo che il contadino non possa recuperarli per riutilizzarli l'anno seguente.

"Armonizzazione e' la parola usata dal WTO per indicare la sostituzione degli standard diversificati di molte nazioni con standard mondiali uniformi, in settori come la sicurezza sul lavoro, gli alimenti, i brevetti, le normative ambientali e quelle relative all'etichettatura dei prodotti. In Australia gli avvelenamenti da salmonella sono aumentati vertiginosamente da quando le industrie hanno ricorso al WTO per imporre al proprio paese di abbandonare i controlli statali sulle carni.

Quando si parla di rimboschimento delle foreste con specie arboree specifiche per la commercializzazione del legno si parla in realta' di silvicoltura militare coloniale; che impera in africa e sud america. La gestione scientifica delle foreste in realta' non ha fatto altro che formalizzare l'appropriazione delle foreste e la sottrazione dei diritti delle popolazioni locali sui prodotti forestali. si e' ridotta la varieta' della vita al solo legno avente valore commerciale.

Ovviamente non avrei potuto scrivere la seconda parte di questa lettera se non avessi avuto sotto mano due libri preziosi: Vandana Shiva, "Sopravvivere allo sviluppo" e

Wallak/Sforza "W.T.O.", che consiglio a cjhiunque non voglia vivere sonni tranquilli.

E per tornare alla foresta di Mau? La moia vicina di casa, per intenderci?

Forse non bisogna preoccuparsi: il WTO ci ha liberato anche di quel peso inutile che e' l'esercizio del voto; a questo punto scegliere una forza politica o l'altra potrebbe essere indifferente, visto che le leggi dovranno uniformarsi comunque ai principi onnipresenti e onnivincolanti del WTO. forse faremo bene tutti a rilassarci, e farci rassicurare dalle reti buone del nostro presidente del consiglio. E iop spero proprio di essere in italia per la prossima serie de "Il grande fratello".

Baci a tutti,

Elena

(PS: in questo paese di pagliacci, il Kenya inteso come classe dirigente, e' passato un servizio sul telegiornale nazionale su Berlusconi; era un presa per il cuol del suo manifesto " Un presidente operaio per l'italia": giuro!!! Il Kenya ci prende per il culo!!

La copertina dell'ultimo economist invece porta la foto di berlusconi con un commento: "La sua vittoria: un disastro per l'italia" )