lunedì 28 maggio 2001

Kenya 8 - "Chiedo scusa alle galline"


Carissimi,
qui a volte si perde un po' la misura delle cose.
Del tempo prima di tutto, ma questo oramai, per gli affezionati lettori che ci seguono dall'inizio, e' assolutamente scontato, e del resto accade anche lassu'. Solo che qui se ne perde la misura all'estremita' opposta: il tempo e' denaro, sia nel nord che nel sud del mondo. Nel nord significa che e' preziosissimo, e guai a perderne anche un briciolo; qui invece la conseguenza dell'assunto e' che chi piu' ne ha piu' e' ricco, quindi l'orologio non esiste.

Dicevo che si perde la realta' delle cose, perche' in questo paese , e nella nostra realta' personale, ti arriva un sacco di fumo negli occhi: internet, i supermercati, la pasta e l'olio d'oliva che riesci a trovare, la nostra bella macchinona (che adesso per fortuna e' di nuovo nel pieno delle sue facolta'), il progetto che funziona, i primi 75 crediti in via di esborso, le visite ai gruppi di donne che ti accolgono sempre con una gran festa, le serate a Nairobi con le videocassette di Tommaso, il ristorante giapponese (buonissimo, e molto piu' economico che in Italia).
Tutto questo un po' ti incanta, e ti fa dimenticare dove sei, cominci a pensare che le cose anche qui possono mveramente andare bene. Poi senti parlare di Ester.

Ester e' una ragazza inarrestabile, che per otto anni e' stata una delle lavoranti dei nostri padroni di casa (il ministro Bomettiano). Alta, magra, molto vivace, e soprattutto con una bellissima voce. E' la solista nonche' leader della propria chiesa "Africa Gospel Church". Qui l'appartenenza ad una chiesa e' fondamentale, ed Ester e' l'esempio della solarita' in persona. Lei ride o canta o sorride sempre: dice che e' perche' Dio vuole che siamo felici.
Del resto anche noi sorridevamo a vederla, e un po' ci veniva da ridere, perche' ha dei capelli stranissimi, che crescono in verticale sopra la testa, a spinacio, e lei per nasconderli usa sempre un berretto di lana. Come moltissime ragazze africane che ancora non sono sposate, Ester ha una bambina, Winnie, di 13 anni, che pero' ne dimostra 7 o 8. Ha avuto la tubercolosi: la fortuna e' stata che Ester, essendo lavorante di Kones, ha avuto il sostegno della Mami, la moglie del ministro, che ha preso a cuore la bambina, e l'ha fatta curare per mesi all'ospedale di Tenwek, quello dei missionari americani (che per inciso: e' a pagamento. Ester non se lo sarebbe mai potuta permettere). Oramai e' un po' che non vediamo Ester e Winnie, perche' pochi mesi fa Ester si e' sposata, ed e' andata a vivere a una ventina di chilometri da qui, a Kabaruso, il villaggio del marito, un una zona di colline molto verdi, e allegra. Questo e' quello che ho sempre pensato passando da Kabaruso.

Oggi, sabato mattina, stavamo andando a caricare la batteria della moto, quando la Mami ci ha fermato, e ci ha detto che Ester e' morta. E' morta di tubercolosi, dopo piu' di tre mesi che tossiva, e nessuno aveva pensato di portarla all'ospedale, neanche quando aveva cominciato a perdere peso, e a stare sempre a letto.
Io adesso non riesco a capire come sia possibile che Ester sia morta: e' ignoranza? E' poverta'? e' rassegnazione? E' la morte che qui fa parte con indifferenza della vita di tutti?
La Mami ci diceva che proprio qualche giorno fa Winnie era venuta in visita, e le aveva detto che Ester stava male, e lei si era raccomandata di farla venire a Bomet, che l'avrebbe portata subito a Tenwek. La Mami ci spiegava che nei villaggi quasi nessuno porta i malati in ospedale, e che si rivolgono ancora a qualche guaritore locale. Ma Ester ha vissuto anni a casa di un Ministro, ha vissuto a Nairobi, sapeva usare la televisione, i videogiochi, lo stereo, ha visto la sua bimba curata dallo stesso male: che cosa blocca queste persone nel loro fatalismo senza speranza, nel loro arrendersi comunque davanti al destino?
Parlavamo con Leishara, la ragazza americana che vive qui vicino, in un villaggio, con lo stesso stile degli africani, senza luce, senza acqua, senza soldi: se sei nato e vissuto qui, chi te lo fa fare di provare a cambiare la tua vita? Se sei nato e vissuto qui, hai visto almeno altre cento persone, che hanno fatto ciascuna cento tentativi, e per diecimila volte volte hanno fallito. Perche' non hai soldi, perche' hai altre dieci persone sulle spalle, perche' c'e' la siccita', o l'invasione di bruchi che ti divora tutto, o qualcuno che si ammala, o le galline che hai comprato muoiono perche' nessuno ti ha mai detto che devi farle vaccinare. Dentro di te hai aquisito la sicurezza che l'esito scontato e' la sconfitta. Perche allora devi provarci? Sai gia' come va a finire.

Questo pero' non era il caso di Ester. Il caso di Ester e' ancora piu' triste, perche' la disgrazia di Ester e' stata quella di essere una donna. Con una bambina a carico. Con un uomo che accetta di sposarti molto probabilmente perche' in condizioni simili non costi molto, qui il marito la deve pagare la moglie (Ci diceva un nostro conoscente molto orgoglioso, che sua moglie e' una maestra "E' molto difficile sposare una maestra, sapete? Costa nove mucche!"). Accetta di sposarti, ma lui e la sua famiglia, nel momento in cui ti ammali, non ritengono che valga la pena di spendere dei soldi per curarti, o semplicemente muoversi per portarti da chi si prendera' cura di te.
Che tu muoia o via, nell'economia di queste persone, di questi villaggi, non fa alcuna differenza. Qui la tua vita non e' affatto unica: sei uguale a tutti gli altri.

Sto leggendo un libro molto bello di Marja Gimbutas, archeologa, " Il linguaggio della Dea", sul mito e culto della Dea madre nell'Europa Neolitica. A margine del tema principale (splendido), mi ha colpito una notazione, sul ritrovamento di uno zufolo in osso intagliato, risalente approssimativamente a 18.000 anni prima di Cristo. 20.000 anni fa c'era qualcuno che zufolava : con una vertigine mi ha fatto pensare che non contiamo proprio un bel niente. Formichine una dietro l'altra.

Da noi tutti siamo diversi: c'e' chi ha investito per diventare un ingengnere, un primario, un ragioniere, un appassionato di filatelia, un ciclista con una bici da molti milioni, una professoressa, una chimica, una studiosa di maremoti, un attivista di Amnesty, un albergatore, un padre che deve pagare l'universita' ai suoi figli, un giocatore di borsa, un manager, un operaio specializzato, un appassionato alpinista, una biologa, una massofisioterapista. E se muore, muore un unico che e' satato coltivato, si e' coltivato per anni e decenni.
Qui la gente si limita a sopravvivere. Se muore Ester non cambia nulla. Se muore un ingegnere vanno persi anni e anni di investimenti e di aspettative. Chi aveva investito su Ester? Chi aveva aspettative su di lei? Qui solo la classe privilegiata fa progetti, investimenti: gli altri devono arrabattarsi per sopravvivere. E allora che qualcuno viva o muoia non fa alcuna differenza, perche' di Ester ce ne sono mille solo a Bomet, tutte uguali, analfabete, che tirano a sera.
Se muore un povero non fa impressione. Se muore un ricco molta.

Ricordo quando facevo roccia; il mio istruttore era un sigore bolognesissimo, diretto e senza peli sulla lingua. In un passaggio sulle dolomiti avevo sgagliato qualcosa, e mi stavo incastrando sempre piu' sulla parete, perche' avevo paura di cadere, e facevo tutto quello che nn si dieve fare (tipo tirarsi a forza di braccia, spalmarmi sulla parete, sprecare energie e fiato), fino al punto in cui hoproprio perso il controllo e ho cacciato un gran urlo dalla paura di cadere: "Tirami su, Gianni, ho paura!".
Il passagio era banale, lui mi ha tirato su, e mentre mi teneva per la corda, sporgendosi dall'alto mi ha risposto:"Ah soccia! Hai paura, eh, di morire? Ma allora vuol dire che sei ricca, se no non avresti mica tanto da perdere, sai?" .
Ester non aveva tanto da perdere? E chi la perdeva?

Ecco, purtroppo l'inizio del letterone e' stato segnato dalla morte di Ester; e' successo oggi, e quindi non potevo non parlarne.

Passiamo a cose piu' carine, che poi erano quelle che volevo raccontare.
In questo periodo stiamo organizzando parecchi corsi di formazione per i gruppi di donne. Si tratta di corsi brevi, massimo una settimana. La prima fase del lavoro ci ha portato in giro per quasi due mesi, a visitare i vari gruppi, nei diversi villaggi qua intorno. Si tratta di gruppi di donne che si mettono assieme, e cercano di mettere in piedi una qualche attivita' che le aiuti a migliorare le proprie condizioni di vita. Qui la tradizione dei gruppi di donne e' molto sentita, e tutte fanno parte
di un gruppo: si tratta di un forte senso della socialita', ma anche di un bisogno di mutuo aiuto, essendo che le scarissime risorse delle famiglie a volte non garantiscono neppure i bisogni primari.
Non per continuare con i miei frequenti discorsi al femminile, ma e' assodato che se la cultura lo permette, gli uomini danno sempre il peggio di se. Qualunque spiraglio in questo senso fa si che l'uomo comune, invece di nobilitarsi nelle difficolta, raggiunga scalini sempre piu' bassi, di vigliaccheria, inutilita' e indolenza. (il campo di battaglia e' aperto su questo tema). Non appena l'uomo puo' prevaricare con cialtroneria, accade: e' qui e' evidentissimo, anche all'occhio dell'osservatore distratto. Basta fare mezzoretta di macchina.
Si vedranno decine e decine di uomini di tutte le eta', fermi alla stazione di benzina (il centro piu' gettonato da tutti gli sfaccendati), o che inscenano baruffe alla fermata dei bus. Fuori dal centro di Bomet si vedra' qualche uomo in bicicletta, che trasporta due galli da vendere, o ragazzini dietro le mucche. Tutto il resto lungo la vostra strada sara': decine e decine di donne piegate sotto carichi di legna, a piedi, scalze: perche' trasportare la legna e' lavoro da donne.
Decine e decine di donne piegate sotto i bidoni dell'acqua, che trasportano (come la legna) con una fascia sulla fronte per reggerli appoggiati sulla schiena: perche' procurarsi l'acqua e' lavoro di donne.
Decine e decine di donne piegate sotto enormi sacchi di patate o mais, scalze, che li trasportano, le prime a vendere, il secondo a macinare, perche' l'agricoltura e' compito della donna.
Nei campi al lato della strada: donne piegate che zappano o raccolgono: e' compito delle donne.
Almeno la meta' della donne ha un bambino legato addosso con una fascia di stoffa.
Mi e' anche capitato di vedere una volta sotto la pioggia una coppia camminare lungo la strada: lui davanti, con scarpe e bastone. Lei dietro, con enorme sacco di mais sulla schiena e senza scarpe.
Aldo ieri ha visto: uomo che cammina tenendo la cornice leggera della porta, donna che lo segue sudata sotto la porta stessa!!

Quando organizziamo i corsi le donne sono felicissime di venire: ovviamente devono ottenere il permesso.
Una cosa che non capivo all'inizio delle nostre visite nei villaggi, era che programmavamo le visite ai gruppi di donne appunto, ma all'incontro, nella casa di uno dei membri, c'erano sopratutto uomini. Io in questi casi mi innervosisco facilmente, e all'inizio protestavo, perche' la capanna magari era piccola, ci entravano quasi tutti uomini, e oltretutto occupavano quasi tutte le panche o sgabelli presenti, quindi le donne se ne stavano in seconda fila o sedute per terra. A me la presenza di tuttiquegli uomini "inutili" mi indisponeva. Mi hanno pero' spiegato dopo le prime volte e le mie osservazioni che e' molto piu' importante che agli incontri coi gruppi di donne ci siano i mariti, perche' e' da loro poi che dovra' venire il permesso per lavorare con le mogli. Per cui sono i mariti a dover capire bene chi siamo, cosa facciamo, che non vogliamo sovvertire l'ordine famigliare, ma che vogliamo solo sostenere i piccoli progetti gia' esistenti con formazione ed eventuale prestito.
Per esempio, molti gruppi avevano pollai, con galline, che e' uno dei commerci della zona, ma spesso tutte le galline muoiono perche' le donne non sanno come si tengono le galline; oppure hanno una macina per il grano, ma non sanno dire se stanno avendo degli utili o se ci perdono; oppure producono mattoni, ma lontano dalla strada e nessuno lo sa e li compra; oppure risparmiano da anni, hano un certo gruzzoletto, ma non hanno la minima idea di che cosa farci; oppure sono riuscite a comprare un pezzo di terra, hanno costruito il negozio, ma non hanno i soldi ne la capacita' per fornirsi dei prodotti e cominciare a vendere.
I casi sono diversi, ma in comune c'e' sempre: grande unita' del gruppo, grande sacrificio delle donne, grande ignoranza nel campo in cui si vorrebbero cimentare, entusiasmo e voglia di imparare.
Non e' per continuare nel mio panegirico sulle donne, ma spessissimo ci siamo trovati di fronte donne che non ci chiedevano soldi, ma formazione "Guarda, non vogliamo soldi, vogliamo sapere come si fa il pane, i mattoni, si tiene la contabilita' di un negozio, trovare chi ci compra i vasi, come
si vaccinano le galline, visitare quel gruppo di donne che abbiamo saputo che ha aperto un negozio di ferramenta a Chebuniyo."
Quando ci chiedono i soldi spesso e' per incrementare la piccola cifra con la quale si sono organizzate autonomamente in un "Merry go round", letteralmente la felicita' che gira, o giostra: si tratta di una piccola somma che le donne hanno raccolto, e che mensilmente si passano prestandola a una del gruppo, che si impegna poi a restituirla, o che settimanalmente viene data a una donna a turno, perche' possa comprare qualcosa da vendere al mercato, tenersi il guadagno, e restituire la cifra a fine giornata.

Capita anche che, soprattutto i gruppi piu' vecchi abbiano risparmiato molto, e siano riuscite a costruire case che danno in affitto. Capita anche che il gruppo riesca a risparmiare una considerevole somma, si rivolga a qualcuno di citta (Bomet...) perche' le consigli sul da farsi, e abracadabra, la somma sparisca. Alcuni gruppi poi ci hanno richiesto cifre astronomiche per progetti
assolutamente sconsiderati, o cifre grosse, per progetti buoni, ma per le quali potrtebbero trovarsi in difficolta' a ripagare poi il prestito.
Per questo abbiamo organizzato brevi corsi un po' di tutti i tipi, pratici innanzitutto: come fare i mattoni, come tenere un pollaio, come tenere le mucche da latte e trattare il latte, come funziona un forno e si fanno pane e torte, come si fanno i focolari che consumano meno legna. Per questi ci siamo rivolti a organizzazioni specializzate, Ong keniane e straniere.
C'e stato poi bisogno per tutte di un corso generale, dal nome pomposo "Fare uno studio di fattibilita'" che significa femplicemente sedersi con le donne, e simulare, ripercorrendo per tappe ragionate, il giusto processo che deve affrontare il gruppo per valutare tute le variabili nella decisione se iniziare o meno l'attivita' o il business che ci e' venuto in mente. Questo l'abbiamo fatto proprio noi, con l'ausilio di materiali molto belli prodotti dall ILO (Internatioonal Labour Organization), ed e' stata un esperienza veramente coinvolgente.
Le classi erano di non piu' di 25-30 donne, due per ciascuno dei gruppi che avevamo visitato, scelte possibilmente tra quelle che sapessero leggere e scrivere, di modo che potessero poi trasmettere le cose imparate al gruppo.
Gia' questa ricuesta pero' si e' scontrata subito con la cultura locale, che tributa alle donne anziane del gruppo assoluto rispetto e precedenza: molti gruppi hanno mandato infatti una donna anziana (anche molto anziana!!) la saggia o quella da cui normalmente si chiede consiglio, accompagnata (per aderire alle nostre richieste) da una ragazza giovane, di un altra generazione non solo per eta', ma perche' istruita, e magari piu' sveglia della media. Il gruppo ha rispetto totale per le donne anziane, che magari parlano solo il dialetto locale e sono analfabete, ma che hanno sicuramente l'esperienza per valutare l'importasnza delle cose che si trattano, e il dovere di consigliare le giovani, che magari hanno abilita' nuove (leggere e scrivere), ma non esperienza.

Vedere queste donne anziane al corso era uno spettacolo. In genere donnine molto piccole, molto accudite e rispettate, anche se spesso assolutamente non in grado di seguire la giornata, o di capire di cosa si stesse parlando. Allora ogni tanto tutte le altra ridevano sotto i baffi, ma sempre in maniera molto affettuosa e divertita. Tutte in classe portano il classico fazzoletto africano legato sulla fronte, coloratissimo, e molte avevano con se i bambini piu' piccoli, attaccati alla tetta anche quando facevamo i conti alla lavagna (molte hanno voluto la foto ricordo mentre scrivono alla lavagna col bambino sulla schiena). Considerato che tutte vengono da villaggi, per loro una settimana del genere e' stato come per noi vincere un viaggio premio con corso gratis all'Universita' di New York: tutte erano esaltatissime, assolutamente concentrate e attente (in tutti i corsi hanno voluto eleggere una time-keeper, che bacchettasse il gruppo se arrivava tardi o perdeva tempo).
Qui per tradizione tutti parlano a voce bassissima, e all'inizio l'impressione che si ha e' che siano molto intimidite. Poi pero' basta pochissimo per rompere il ghiaccio e creare un'atmosfera vivace, dove tutte chiedono e intervengono sempre.
In uno dei corsi non sapevamo bene come scongelare la sala, e ci abbiamo provato con lo stupidissimo giochetto di fare uscire una donna dalla stanza, e metterci d’ accordo con le altre di imitarne tutti i gesti e parole al suo ritorno: e' stato un delirio, sono tutte impazzite, la malcapitata e' quasi scappata dallo spavento, non capiva cosa stesse succedendo, e tutte anno riso e pianto dal ridere per venti minuti abbracciando la poveretta che si e' anche dovuta togliere maglia e maglione dal ridere, per poi impazzire di nuovo tutte le volte che si raccontavano quello che era successo e si ripromettevano di fare quello scherzo anche nelle loro case.
Il corso e' stato un successo, inutile dirlo!

Nei corsi poi entra l'abitudine africana di cantare: in africa le donne cantano spesso, per esprimere gioia, ringraziamento, ma anche semplicemente per rialassarsi. Cosi' ogni ora le donne chiedono di fermarsi, si alzano ecantano ballando per qualche minuto, canzoni ridicole o religiose (mille e mille volte e' stato ringraziato Dio per il corso). Per cui l'atmosfera e' veramente allegra, piena e appagante.

Abbiamo organizzato anche alcune attivita' per aumentare l'autostima di queste donne: scopriamo i nostri talenti!! Si trattava di convincerle a turno a raccontare la cosa che sanno fare veramente bene, e della quale sono orgogliose. Beh: queste donne, che hanno una media di 5-7 figli, che lavorano nei campi, che genericamente non sono andate a scuola, che sgobbano come solo donne del terzo mondo possono fare, dopo le prime reticenze e timidezze si sono messe a raccontarci cose fantastiche: "io sono bravissima a recitare, e mi piace moltissimo fare la parte della dispettosa (e con tutte che ridono come matte)...io sono bravissima a cantare, e canto nel coro della mia chiesa...io so far girare tre palline in aria, e via coi gessetti e tutte che fanno il tifo......io 23 anni fa ho imparato ad andare in bicicletta e sono stata la prima nel mio villaggio (applausi di tutte, serissime, io tutt'ora non ho mai visto una donna in bicicletta), adesso pero' dopo 4 figli e il mio "Matako kubua" (il grande culo che mi ritrovo) non ci vado piu' (applausi e risate da cadere dalle sedie).....io faccio un chapati (piadina) buonissimo...io a scuola sono stata una bravissima responsabile della mensa". Non e' che queste donne facciano niente tutto il giorno, ma nessuna ha parlato di cose serie o pesanti.
In uno dei corsi, molte avevano gia' esposto le proprie abilita', e si era creata quell'atmosfera un po sul " beh, nessun altro ha niente da dire?", quando una donnina anziana, di quelle che non parlano che il loro dialetto e non sono mai state a scuola, ha preso la parola (era cosi' piccolina che seduta sulla sedia non toccava terra coi piedi) e ha detto: "Io da piccola ero bravissima a tenere le capre.
Mio padre mandava me e mio fratello perche' eravamo i piu' piccoli, ma io ero molto piu' brava di lui, e alla fine ha mandato solo me. Come me le capre non le teneva nessuno, ero molto orgogliosa di tenerle io". A 70 anni, dopo 10 figli, non deve essere stata lodata molto spesso nella sua vita.

Nei corsi, due i momenti clou: il viaggio di istruzione, e la consegna dei certificati.
Il viaggio di istruzione: qui se dici: "Il mais cresce meglio se ci metti la merda di mucca" non ci crede nessuno. Se invece si riesce a mostrare il mais senza concime e il mais col concime, allora la cosa e' provata. Quindi, la gita di istruzione e' un must!
Si tratta di trovare qulcuno che gia' faccia le cose che si sono affrontate nel corso, e andarlo a trovare. Quindi si affitta il classico camioncino da idraulico, ci si sale in trenta, una buon a fetta sta aggrappata fuori, e si canta tutto il viaggio: gia' questo di per se e' uno spettacolo.
I canti sono canti ritmati da un ritornello cantato da tutti a squarciagola, e le strofe cantate dalla solista-paroliera per l'occasione. Infatti qui i canti servono per raccontare cosa si e' fatto, esprimere le emozioni, ringraziare sempre e comunque Dio per la meravigliosa giornata. Allora vegono fuori cose tipo: " Siamo cosi' felici oggi perche' abbiamo imparato qualche cosa di nuovo, che Dio ci ha insegnato.....chiedo scusa alle mie galline per quello che gli ho fatto quando non sapevo come si tengono le galline, e mi dispiace di non potere chiedere scusa a quelle che sono gia' morte...io non ero nessuno, ma poi ho ricevuto una lettera indirizzata a me!!- non mi era mai successo nella mia vita- e adesso grazie a questo sono diventata qualcuno.....conosco uno che e' andato a studiare in giappone, ma e' tornato matto e adesso non si lava piu': a noi questo non e' successo, perche' in questo corso ci ha guidato Dio..." E cosi' via, l'apprezzamento per ogni strofa sottolineato dall'acutissimo e caratteristico grido acfricano che lanciano le donne quando sono felici.
Poi durante le visita concentrazione massima, domande, vivo interessamento verso chi ci ospita, e che sta facendo le cose di cui si e' discusso, te per tutti (l'ospitalita' e' sacra) solite torme di bambini impazziti, e di nuovo verso casa, sul camioncino che e' diventato un proiettile umano sotto tutta la gente in piu' che si attacca per capirite chi sono queste donne che sfrecciano ad alto volume e risate per le campagne.

Il momento dei certificati poi e' la conclusione: una sorta di diploma, con nome e firma del direttore del corso, che viene trionfalmente portato a casa e appeso nella capanna. Queste donne spesso non sono andate a scuola, o comunque non hanno alcun riconoscimento nella loro vita. Allora il certificato, e la foto del momento delle consegna sono una grande emozione: all'inizio non avevamo capito l'importanza della cosa, e al primo corso organizzato, senza certificati finali, abbiamo dovuto riconvocare tutte le donne per la consegna successiva, visto che alla ferale notizia si erano ammutolite e si chiedevano oramai perche' erano venute al corso.
Noi consegnamo i certificati, e loro consegnano i regali; allora c'e' la danza in cerchio, in cui la solista a turno canta strofe sulla settimana trascorsa, tutti si balla e urla, e una alla volta ci vengono a prendere per tirarci nel centro, e consegnare i regali, con una danza e un canto molto allegro e ritmato, utilizzato sempre quando si deve consegnare un regalo a qualcuno.
Cose ricevute: una zucca gigante (che ho lottato per tagliare col panga, il machete locale, e che per tradizione gli uomini non possono toccare) (perche' e' un lavoro faticoso suppongo); un kanga, il telo africano che serve da gonna, copricapo, sacca per trasporto, portabimbosullaschiena e pannolini, a seconda dell'occasione; una quantita' indefinita oramai di kalabash, la zucca oblunga svuotata, cosparsa di carbone all'interno che serve per trasportare il latte fermentato e affumicato, prelibatezza di qui; un gallo e due galline; tre tazze di latta; sacchi di cipolle, miglio, pannocchie, patate; una lancia; due rungu, il corto bastone masai, un arma micidiale, con un grosso nodo di legno sulla cima, che lo rende capace di uccidere un uomo, e che i masai usano per cacciare gazzelle lanciandolo da lontano (una cosa buffa: noi lo teniamo in macchina come arma di difesa, ma essendo veramente pericoloso, e' proibito girare col rungu in citta, sicche' a Nairobi non lo si vede.
Gli unici che ovviamente lo portano anche in citta' come se fossero nella savana sono i masai, che da rungu, lancia e dastone da pastore non si separano neanche sui matatu (bus) cittadini. Perche' chiedevo? Di tu ad un masai di lasciare il suo rungu, mi e' stato risposto. I masai sono guerrieri, e molto irascibili. A noi hano addirittura consigliato che se ci dovesse succedere qualcosa, tipo tamponamento in citta', cosa frequentissima, la cosa migliore e' di lasciare un masai di guardia alla
macchina, e al nostro ritorno ci sara' tutto).

Insomma, questo e' un po' uno spaccato di alcune delle attivita' del progetto, pensieri e particolari impressi nella retina.


Alla prossima,

Elena

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